«Stavolta annuncia Matteo Salvini - la Rivoluzione parte dall'Italia». A tre settimane dal voto europeo la Rivoluzione del Capitano non sembra però avere né i numeri, né le caratteristiche politiche necessarie ad innescare un ribaltone in seno all'Unione Europea. Dietro la cosiddetta «rivoluzione» si cela la speranza d'indurre il Partito Popolare Europeo (Ppe) a rompere con i socialisti spingendolo a stringere un alleanza con l'asse sovranista. «Faccio parte di uno schieramento forte come non lo è mai stato, non di destra, ma alternativo ai burocrati e spero si possa dialogare con i conservatori per lasciare fuori la sinistra che vuole il male dell'Europa» spiega Salvini illustrando il progetto discusso giovedì a Budapest con il premier ungherese Viktor Orban.
In base ai numeri il progetto appare però quanto meno illusorio. Anche ipotizzando una Brexit in zona Cesarini e un ridimensionamento dell'Europarlamento in seguito all'assenza o all'uscita inglese la soglia di maggioranza non scenderà sotto la soglia dei 353 voti. Quella soglia è l'icona dell'illusione salviniana. I principali sondaggi attribuiscono al Partito Popolare una forbice tra 170 e i 175 seggi. Per governare il nuovo Europarlamento il Ppe dovrà dunque cercarsi un alleato in grado di garantirgli almeno 180 voti. Salvini da solo potrà contare soltanto sui 68 seggi della sua «Alleanza Europea dei Popoli e delle Nazioni». Potrà arrivare a quota 130 aggiungendovi i circa 63 seggi dei Conservatori Riformisti Europei (Ecr) - il secondo blocco sovranista guidato dai polacchi di Diritto e Libertà di Jaroslaw Kaczinci con la partecipazione di Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni. Ma quei 130 seggi restano insufficienti a garantire ai popolari la maggioranza.
Non si capisce, dunque, perché il Ppe dovrebbe cercare un'inutile e politicamente controproducente intesa con i sovranisti di Matteo Salvini precludendosi quell'alleanza con socialisti, liberali e En Marche di Emmanuel Macron che sembra l'unica in grado di portarlo alla maggioranza. Volendo guardare alla politica anziché ai numeri la scelta di affidarsi ad Orban appare ancor più discutibile. Se l'intenzione era quella di dialogare con i popolari la strada più agevole, e alternativa all'abbraccio con il nuovo «uomo nero» d'Europa, era la collaborazione con esponenti del Ppe come Silvio Berlusconi o il presidente dell'Europarlamento Antonio Tajani. Anche perché da marzo Fidsz, il partito del premier ungherese, sconta la formale sospensione dalle fila dei popolari europei. E la definitiva espulsione potrebbe arrivare subito dopo la formazione del nuovo Europarlamento. Dunque Salvini non può certo illudersi di condizionare il Ppe minacciando di attrarre nella galassia sovranista una quindicina di eurodeputati di Fidesz già dati per perduti. Né tanto meno di venir considerato affidabile presentandosi a braccetto del loro capo. E a rendere il tutto ancor più aleatorio s'aggiungono le scaltrezze del personaggio Orban. «Se sarà necessario seguire nuove strade il primo posto dove cercheremo di avviare un negoziato sarà la Polonia» aveva annunciato dopo la sospensione dal Ppe ipotizzando un'alleanza non con Salvini, ma con quel PiS di Jaroslaw Kaczinci che guida l'altra alleanza sovranista.
E a rendere ancor più incerta e confusa la Rivoluzione del Capitano
s'aggiungono, infine, i diktat pronunciati da Angela Merkel subito dopo l'incontro Orban-Salvini «Dopo il voto europeo ha annunciato giovedì la Cancelliera - non vi sarà nessuna cooperazione con i partiti della destra populista».
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