Il premier gioca a risiko: in disgrazia la vigilessa amica

Manzione verso il Consiglio di Stato: troppa approssimazione nei suoi dossier Pronto il rimpastino di governo per placare le truppe verdiniane e alfaniane

Il premier gioca a risiko: in disgrazia la vigilessa amica

Come risulta dagli orologi Rolex nella disponibilità di Palazzo Chigi, si avvicina l'ora delle decisioni irrevocabili. Come suo costume, il premier Matteo Renzi è pronto a giocare d'anticipo riordinando le caselle di quello sconfinato Monopoly che deve apparirgli l'Italia vista dal balcone di Palazzo Chigi.Si va per le spicce, prima che arrivi la spinosa campagna primaverile delle Amministrative e quella, negli auspici vittoriosa «madre di tutte le battaglie», che è il referendum autunnale sulle riforme. Le grandi direttrici delle sue mosse riguardano i bocconi prelibati, veri fondamenti del potere, come la ristrutturazione in atto alla Rai testimonia. L'attenzione del premier s'è perciò concentrata anche sul controllo assoluto delle cosiddette «partecipate» (Eni, Enel, Finmeccanica, etc.) che il decreto legislativo Madia avrebbe dovuto sottrarre al ministero dell'Economia. La resistenza di via XX settembre pare però strenua, al punto che potrebbe farne le spese, più che la fragile ministra della Funzione pubblica e il saldo alter ego Lotti, il capo dell'Ufficio legislativo di Palazzo Chigi, Antonella Manzione. Troppa l'approssimazione e leggerezza nei dossier alle riunioni dei Consigli dei ministri, ora unite all'incapacità di sbloccare in punto di diritto le resistenze dei tecnici dell'Economia, starebbero convincendo Renzi a offrirle un buen retiro al Consiglio di Stato.Ma è sul fronte del Pd e del Parlamento che il premier conta di rafforzarsi senza ostacoli. Allo studio persino qualche avvicendamento nella segreteria del Nazareno: l'artefatta polemica di ieri con il governatore toscano Rossi pareva quasi un assist per giustificare un intervento deciso del segretario sull'assetto di una struttura che si basa solo sul gran lavoro di Lorenzo Guerini. A stancare Renzi lo sterile e discontinuo impegno della Serracchiani, e le poco efficaci sortite in tivù di altri componenti. Ma se il partito resta comunque amorfo orpello del potere renziano, sarà il Parlamento a veder sbocciare presto, nei fatti più che nelle chiacchiere, l'atteso partito della Nazione. Alla pattuglia dei verdiniani che bussa alle porte per sottosegretariati o presidenze di commissione (sotto Natale sono arrivati in Ala altri tre senatori di Forza Italia: Repetti, Bondi e Piccinelli - quest'ultimo dichiarandosi ancora fedelissimo di Silvio - altri sono previsti nei prossimi giorni), corrisponderà il risarcimento dovuto agli alfaniani e (forse) alla minoranza interna del Pd, così da rinsaldare la maggioranza prima del secondo passaggio in Senato della riforma. Subito dopo, intorno al 21, il rimpastino: promozione sul campo per il viceministro della Giustizia, il cattolico Costa, che va a occupare la poltrona degli Affari regionali, già promessa a Quagliariello (che nella vana attesa s'è pure stancato, lasciando Ncd). Al posto di Costa, in via Arenula, un fedelissimo di Schifani, Nico D'Ascola.Chiede di tornare in auge anche l'ex sottosegretario Gentile, avendo risolto problemi giudiziari. Sarà difficile accontentarlo, così come potrebbe non farcela l'ex dalemiano Amendola, che aspirava al posto del viceministro Lapo Pistelli che, conoscendo Renzi, ha preferito l'Eni agli Esteri. In attesa di ricompensa anche Dorina Bianchi (alfaniana) e Gabriele Albertini (amico di Lupi, che conserva il dente avvelenato dopo la rimozione). All'uopo, ci sono in scadenza le poltronissime di presidente di commissione, che danno diritto a discreto gruzzoletto, segreteria particolare e auto blu.

A farne le spese sarebbe Rosy Bindi, finora all'Antimafia: considerata la reciproca antipatia, per Renzi costituiva la prova di quanto la rottamazione potesse essere democratica. Con i tempi che corrono, fronzolo di cui poter fare a meno.

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