Niente precipitazione. Forse una maggioranza a scadenza. Anzi no, trattiamo per un governo di larghe intese per isolare le estreme. E così che la République, la Quinta repubblica francese, si sta trasformando in un gigantesco frigorifero. Che però i sindacati sono pronti a surriscaldare fino a mandarlo in corto, se la soluzione che deciderà di proporre Macron non sarà veloce e di loro gradimento. «Non farò dichiarazioni di politica interna», taglia corto il capo dello Stato dal summit Nato di Washington, rincorso dai cronisti. Mentre a Parigi si tratta.
Le lancette delle Olimpiadi segnano meno due settimane all'evento dell'anno, e i partiti si affannano per capire se possono dar loro una soluzione all'Eliseo. O se sarà (di nuovo) il capo dello Stato a dare le carte. La «lettera ai francesi» di Macron ha aggiunto incertezza. Ha chiesto tempo affinché il sistema faccia la magia di far comparire una maggioranza solida. In questo vuoto i sindacati sono entrati a gamba tesa; ieri in campo come mai prima per reclamare subito un governo di sinistra con tutti i pezzi del Fronte popolare. Gli Insoumis di Mélenchon insistono: attuare il nostro programma, nient'altro che quello. Di «patti di coalizione» non vogliono sentir parlare. E hanno ora un alleato di peso che sconfina: da parte sociale a parte politica.
Gli cheminots, in particolare, i combattivi ferrovieri rappresentati dalla Cgt, hanno indetto un corteo preventivo davanti all'Assemblée, e manifestazioni nelle prefetture. Il giorno X è il 18 luglio, quando l'Assemblée aprirà ufficialmente i battenti con la nomina della presidenza e la formazione dei gruppi. «Esigiamo il rispetto delle urne», grida la Cgt. Se entro quella data Macron non l'asseconda, minaccia di bloccare i trasporti: in una Francia che avrà gli occhi del mondo su di sé, e migliaia di turisti dello sport in arrivo. Federazioni. Tutti a Parigi per i Giochi col rischio bomba sociale. Sophie Binet, segretaria Cgt, si è già messa l'elmetto. Invita i francesi «a unirsi a queste manifestazioni per far pressione popolare affinché siano rispettati i risultati delle urne». I mélenchoniani, militanti e neo-eletti, alzano la voce: «Non possiamo accettare in silenzio la volontà di un uomo contro quella di un popolo».
Chiaro l'indirizzo del sindacato più oltranzista: un governo della gauche per il Paese. E per l'Ue. O sarà piazza a oltranza. Nel fine settimana o lunedì il Fronte popolare potrebbe dare un nome comune a Macron. Che deciderà in ultima istanza. Resta in pole il socialista Faure. Ci sono poi la verde Tondelier o un esponente Insoumis. Ma affinché la coalizione di sinistra possa davvero reclamare Matignon, contano pure i numeri. I gruppi parlamentari sono ancora tutti da formare. Il Fronte conta comunisti, verdi, socialisti e mélenchoniani. Voci dicono che tireranno fuori dal taschino un jolly prima che Macron faccia altrettanto, trovando magari la sua nuova colomba che potrebbe avere consensi (e maggioranza) invece a destra.
Molto si gioca in Parlamento, con logiche che nei 7 anni di Macronie erano quasi state sepolte. Il 18 luglio cristallizzerà gli equilibri dei gruppi: non è detto che tutti i macroniani resteranno nel gruppo del presidente, né è da escludere che certi mélenchoniani siederanno in un nuovo gruppo con comunisti e verdi, mentre i socialisti sognano la primazia. Per il senatore numero uno dei neogollisti Larcher, a Matignon deve restare Attal. Premier fino a settembre.
Lui però sembra smarcarsi dall'inedito tandem Eliseo-Senato, muovendosi da camaleonte: pronto a trovare la sua strada. Perfino rinunciando a Matignon per limare maggioranze dal Parlamento. E i francesi? Il 74% giudica il Paese ingovernabile (Elabe).
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