
Per la prima volta, forse, la strategia della pressione sta portando a qualche frutto. Probabilmente perché per la prima volta a essere messo sotto pressione è l'unico che può fermare la guerra, anche perché è lo stesso che l'ha cominciata, l'ha voluta e la sta continuando: Vladimir Putin. Dopo il faccia a faccia in Vaticano tra Trump e Zelensky che ha portato il tycoon a modificare la linea morbida verso Mosca, qualcosa si muove. Putin ha infatti promesso un cessate il fuoco di tre giorni in occasione dell'80º anniversario della vittoria sul nazifascismo, dall'8 al 10 maggio. Un, seppur piccolo, segnale, raccolto con tanto di rilancio da Kiev che ha proposto un cessate il fuoco totale di 30 giorni.
«Dalla mezzanotte del 7-8 maggio alla mezzanotte del 10-11 maggio la parte russa dichiara un cessate il fuoco. Tutte le azioni militari cesseranno durante questo periodo», recita la dichiarazione vergata dal Cremlino che «dichiara ancora una volta la sua disponibilità a negoziati di pace senza precondizioni, miranti ad eliminare le cause di fondo della crisi ucraina e all'interazione costruttiva con i partner internazionali». Una verità alternativa, viste le dichiarazioni arrivate subito dopo da Peskov e Lavorv, non esattamente due che passano per caso dalle parti del Cremlino. Peskov, portavoce di Putin, afferma che è Kiev a non voler negoziare e «dovrebbe intraprendere certe azioni a questo proposito» mentre il ministro degli Esteri Lavrov alza ancora la posta: «Imperativo riconoscere come russi i territori della Crimea, di Sebastopoli, della Repubblica del Donetsk e del Luhansk, e delle regioni di Kherson e Zaporizhia», ha detto, aggiungendo che «tutti gli impegni di Kiev devono essere garantiti legalmente, avere meccanismi di attuazione e avere una durata indeterminata», il che significa tutte quelle condizioni unilaterali che Mosca chiede da tempo e che per l'Ucraina significherebbero una resa incondizionata.
Di contro il ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiga rilancia l'opportunità di un accordo più ampio. «Se la Russia vuole davvero la pace, dovrebbe cessare immediatamente il fuoco. Perché aspettare fino all'8 maggio? Se la guerra potesse essere fermata ora e la tregua mantenuta per 30 giorni, sarebbe un vero passo avanti, non solo un gesto per una parata», ha detto. Un po' quello, e qui risiede la possibile svolta, che chiede il vero e unico negoziatore forte sul campo. Con l'accordo sulle terre rare che sembr avvicinarsi sullo sfondo, la Casa Bianca infatti fa sapere che Trump «vuole una tregua russo-ucraina permanente», facendo anche filtrare che il tycoon «è sempre più frustrato» dalla situazione. In particolare lo stesso Trump, dopo aver usato per settimane parole di fuoco verso Zelensky e aperture nei confronti di Putin, sembra aver cambiato rotta, dicendo che lo Zar dovrebbe smettere di sparare e raggiungere un accordo.
Non solo, pur ribadendo che è quasi impossibile pensare che la Crimea possa tornare sotto il controllo ucraino, il presidente americano ha detto che «Zelensky è più calmo e vuole un accordo» e che «sta facendo un buon lavoro e vuole un accordo». Che sia il miracolo di Papa Francesco o più laicamente quello del buonsenso, sembra che finalmente qualcosa si muova e che la fine della guerra, pur complicata, non sia più impossibile.
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