Pretendono che Giorgia si dichiari antifascista ma la Schlein balbetta sul no al comunismo

La leader di Fdi incalzata dalla sinistra che vuole estorcerle l'adesione ai valori resistenziali. La segretaria Pd può cavarsela a buon mercato sul totalitarismo rosso

Pretendono che Giorgia si dichiari antifascista ma la Schlein balbetta sul no al comunismo

«Lei è comunista? No nativa democratica. Bene, la prossima domanda?». Colpisce la disinvoltura con cui Elly Schlein ha potuto destreggiarsi sul terreno ideologico. Mentre Giorgia Meloni viene sottoposta a una sorta di inquisizione sulle sue dichiarazioni, e sulle sue intime convinzioni sul fascismo, fa impressione verificare come alla sua avversaria ideale, la segretaria del Pd, sia consentito di cavarsela a buon mercato sull'altro totalitarismo del secolo scorso.

La presidente del Consiglio è stata sottoposta a un autentico «stalkeraggio», viste le sue radici nella destra italiana. Da giorni, o settimane, avvicinandosi il 25 aprile, le chiedono non solo di condannare le leggi razziali (cosa che ha ovviamente già fatto, e che il Msi aveva fatto decenni fa), non solo di dire parole definitive sul fascismo (le ha dette anche in questa occasione, e Alleanza nazionale le ha inequivocabilmente dette 20 anni fa). No, non basta: pretendono che Giorgia Meloni si dichiari «antifascista, pretendono di estorcerle questa «autodefinizione», salvo probabilmente sperare in cuor loro che non la dia, per meglio continuare a incalzarla, conservando per un altro anno il pretesto per considerarla «unfit», indegna di governare, anzi di sedere in Parlamento.

Ma a parti, invertite, cosa hanno chiesto ad Elly Schlein? E lei cosa ha risposto? È accaduto il 5 dicembre. La allora candidata alla segreteria del Pd era ospite in Tv a «Otto e mezzo» di Lilli Gruber e la giornalista - già parlamentare europea eletta nella lista «Uniti nell'Ulivo» per entrare poi nel Pd - le sottopose gentilmente la questione. Non le chiese se si definisse anticomunista, no, le girò semplicemente la questione in questi termini: «Lei sa che la stampa di riferimento della destra scrive delle cose tremende su di lei - disse sorridendo - e magari anche vere. Per esempio la definiscono comunista».

«Sono una nativa democratica - rispose Elly - ma per ragioni anagrafiche, sono nata nell'85 quindi non ho potuto aderire alle storie precedenti» disse, lasciando negli ascoltatori il dubbio se fosse un rammarico. Non si capiva insomma, se avendone avuta l'opportunità avrebbe aderito o no. «Ragioni anagrafiche? Questo lo dice anche Meloni» si sentì in dovere di obiettare Gruber. E vediamole, queste ragioni anagrafiche: Elly è nata 5 anni prima che crollasse l'Urss con tutto il patto di Varsavia; Giorgia Meloni invece è nata nel 1977, quindi 32 anni dopo il crollo definitivo del fascismo in Italia.

Si potrebbe osservare che la leader di Fdi ha fatto in tempo ad aderire (a 15 anni) al Fronte della gioventù, nel 1992, mentre An è nata fra il '94 e il '95, e si potrebbe aggiungere che l'Italia ha conosciuto direttamente il regime fascista, che ebbe una diretta filiazione nel Msi. Ma è vero anche che il legame (politico-ideologico, e finanziario) fra Mosca e il Pci è indiscutibile, e diretto, almeno fino agli anni Settanta e si può osservare anche che i regimi comunisti sono una realtà ancora oggi, nel 2023, e hanno maturato una linea diplomatica aggressiva verso le democrazie occidentali, e tengono sotto il loro tallone un miliardo e mezzo di persone.

La questione, insomma, è molto seria, e chi volesse affrontarla seriamente non dovrebbe limitarsi a battute o risposte elusive. D'altra parte Elly non è la prima a svicolare. E c'è chi fa di peggio. Tutta la storia dei partiti comunisti europei, e italiani, è la storia di una fascinazione, o di una sottovalutazione, per gli orrori totalitari di marca comunista.

E dai tragici errori del passato, dal 1917 in poi, si arriva fino a Nicola Fratoianni di Sinistra italiana, che oggi assicura: «Sono contro i totalitarismi, che però non sono stati tutti uguali. Nazismo e comunismo non furono la stessa cosa», mentre una filosofa come Donatella Di Cesare spiega che il comunismo «è un progetto politico di emancipazione, mentre il fascismo è sin dall'inizio perversione».

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