Mentre l'occupazione non è mai stata così alta dal 1977, l'agenzia di rating Moody's minaccia di tagliare il rating ai paesi europei dipendenti dal gas russo come il nostro. Per l'Italia significherebbe perdere il livello «investment grade» di Moody's, sotto al quale i titoli di Stato non vengono più acquistati dalla Bce. E mentre il Pil del primo semestre vola più in alto del previsto, l'indice del settore manifatturiero - quello che traina l'intera industria - segna una prima forte contrazione prospettica. Questa dicotomia di dati economici, che sono contemporaneamente ottimi e pessimi, esprime la distanza tra l'effetto trascinamento della ripresa del 2021 e la cappa di ansia e incertezza che si è piazzata sulla nostra testa a partire dall'invasione russa dell'Ucraina. E il governo Draghi è caduto proprio su questo spartiacque, tra gli onori per aver lavorato bene e gli oneri dell'autunno bollente di là da venire. Da un lato, dunque, l'ex presidente della Bce può legittimamente rivendicare i risultati dei suoi 18 mesi di guida del Paese, dall'altro gli capita di andarsene proprio quando inizia un periodo talmente bui che è persino difficile tracciarne i contorni. Tuttavia c'è anche un'altra possibile lettura, politica, che si presta a comprendere le scelte che hanno portato alla crisi di luglio. Ed è del tutto speculare, perché anche per il centrodestra il tema economico era ben chiaro e l'opportunità di votare adesso oppure a marzo avrebbe rappresentato un peso non indifferente. Con le urne subito, infatti, il peso della possibile recessione è comunque più sfumato, perché almeno in buona parte si vive ancora di rendita, come dimostrano i dati che escono in questi giorni. Mentre andare al voto nel 2023 significava fare i conti con un momento economico e sociale ben più complesso. Una situazione che il centrodestra era forse disponibile ad accettare, ma a determinate condizioni, come per esempio quella di andare avanti senza i Cinque Stelle. In altri termini, di fronte a un prateria elettorale, una scelta di forte responsabilità nazionale non poteva prescindere da un minimo di calcolo politico.
Mentre nel momento in cui tutte le strade che avrebbero portato il governo fino al 2023 non risultavano compatibili con una corretta suddivisione politica delle responsabilità di governo, proseguire non sarebbe stato sensato.
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