Prigozhin: "Bakhmut è nostra" Kiev smentisce: "Resistiamo"

Il capo dei mercenari Wagner annuncia di aver preso la città chiave, che per gli ucraini rimane in bilico

Prigozhin: "Bakhmut è nostra" Kiev smentisce: "Resistiamo"
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Ancora, sempre e pericolosamente Bakhmut. La città diventata simbolo di questo conflitto, o meglio quel che ne rimane, resta contesa tra i russi che la assediano da quasi un anno e gli Ucraini che cercano di difenderla. Caricandola di un'importanza che va ben al di là del suo ruolo strategico. Ieri il leader dei mercenari della brigata Wagner Yevgeny Prigozhin, ha annunciato di aver definitivamente conquistato la città con tanto di foto di rito in centro. Kiev smentisce seccamente, riconoscendo solamente che la situazione resta molto difficile. Come ogni volta che i fatti sono inquinati dalla propaganda, immancabile in una guerra, la realtà resta in discussione e la situazione sarà più chiara col passare delle ore.

Intanto, ci sono le parole. «Il 20 maggio 2023, oggi a mezzogiorno, Bakhmut è stata presa nella sua totalità, casa per casa», ha detto Prigozhin in un video. Il capo dei mercenari filorussi ha anche annunciato che le sue truppe lasceranno la città il 25 maggio «per riposarsi e riqualificarsi, consegnando Bakhmut all'esercito regolare russo». Il tutto in una specie di comizio improvvisato in cui sventola una bandiera russa in mezzo a due della sua milizia personale. Annuncio reale, che segna una possibile svolta del conflitto, o ennesima manovra politico-strategica di quello che è diventato un protagonista della guerra? Kiev lo ha subito smentito, ammettendo solo difficoltà. «Controlliamo zone di Bakhmut, ci sono pesanti combattimenti. La situazione è critica. Allo stesso tempo, le nostre truppe mantengono la difesa nell'area del distretto di Litak. A partire da ora, i nostri difensori controllano alcune strutture industriali e infrastrutturali di quest'area e del settore privato», ha spiegato la viceministra della Difesa ucraina Hanna Malyar. «Quanto ha detto Prigozhin è falso. Le nostre unità stanno combattendo a Bakhmut», ha detto il portavoce militare ucraino Serhiy Cherevaty.

A dare un po' di credito alle dichiarazioni ucraine arriva il report dell'istituto per lo studio della guerra americano: «I contrattacchi ucraini vicino a Bakhmut hanno probabilmente eliminato la minaccia di un accerchiamento russo delle forze ucraine a Bakhmut e costretto le truppe russe ad allocare le scarse risorse militari per difendersi da uno sforzo offensivo limitato e localizzato», si legge nel report. Mentre gli attacchi continuano in tutto il Paese, il ministro della Difesa di Kiev Oleksiy Reznikov ha detto che «i piloti ucraini non vedono l'ora che inizi l'addestramento sui caccia F-16. Ora potranno sostenere i loro fratelli e sorelle d'armi sulla terra e in mare per vincere questa guerra. Gli F-16 sono stati costruiti per abbattere i nemici. Il loro momento è arrivato», alimentando ulteriormente l'attesa per la controffensiva ucraina.

Ma intanto, anche se sempre più complesse, non si fermano nemmeno le trattative per arrivare a un dialogo. Se il premier indiano Narendra Modi si aggiunge alla lista di coloro che si candidano come intermediari, nonostante il gelo calato nell'incontro tra Papa Francesco e Zelensky nei giorni scorsi, la missione Vaticana si fa sempre più concreta. «Posso confermare che Papa Francesco ha affidato al cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, l'incarico di condurre una missione, in accordo con la Segreteria di Stato, che contribuisca ad allentare le tensioni nel conflitto in Ucraina, nella speranza, mai dimessa dal Santo Padre, che questo possa avviare percorsi di pace», ha comunicato la santa Sede. Una passo non solo formale.

Oltre a essere un membro di spicco della chiesa, Zuppi ha un passato di successo da mediatore internazionale. Nel 1992 riuscì a ottenere il cessate il fuoco in Mozambico dopo 10 anni di guerra sanguinosa. Un precedente che può far sperare.

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