Se fosse degna di fede, la notizia sarebbe molto importante, e in ogni caso divulgarla segna un cambio della scena, mostrando un regime impaurito, a caccia di consensi dentro e fuori i confini: il procuratore generale iraniano Mohamad Jafar Montazeri ha annunciato lo scioglimento della funesta «Polizia della morale» che dopo aver sequestrato Mahsa Amini perché non indossava il velo secondo le regole, ne ha poi riconsegnato il corpo torturato e senza vita alla sua disperata famiglia. Da quel momento una protesta guidata dalle donne, sempre più coraggiose, ha tenuto le piazze e le strade nonostante ormai si contino quasi cinquecento morti fra i dimostranti. L'Iran non vuole più vedere donne, dissidenti, gay imprigionati e uccisi solo per ciò che sono. La resa sulla «polizia della morale» però di fatto rivela solo che il regime è nei guai e non che cerchi soluzioni.
Alla notizia infatti si aggiungono molte «chiarificazioni» per cui il sistema giudiziario dichiara di non «perseguire dichiaratamente» il suo scioglimento, ma è la polizia stessa che «cerca una soluzione prudente», mentre il presidente Raisi annuncia che «è allo studio» una legge per modificare l'uso obbligatorio del velo. Mahsi Alinejad una protagonista delle rivolta al femminile, di recente ricevuto all'Eliseo dal Presidente Macron, ha già detto che si tratta di «disinformazione, una tattica per fermare la rivolta». Perché la rivolta è ormai diventata una strada possibile verso un cambiamento fondamentale, ed è la prima volta dopo le tante rivolte che si susseguono dal 2017. È il mondo intero stavolta, come per l'Ucraina, che non può tacere alla violazione di ogni norma etica e che chiede insieme agli iraniani un altro domani. Un esempio italiano: Antonio Tajani, ministro degli esteri, il primo di dicembre ha cancellato l'incontro bilaterale col ministro degli esteri iraniano Hossein Amir Abdollahian. Un gesto di coraggio da parte di un ministro di prima fila del secondo Paese dell'Ue. Avveniva quando l'appassionato pubblico del calcio iraniano veniva sconfitto dalla squadra del Grande Satana, gli Usa. Quanto deve non poterne più il popolo e quanto ormai il consesso internazionale riconosce l'impresentabilità di un Paese che solo fino a tre mesi fa si baloccava con la speranza americana ed europea degli incontri di Vienna del «P5 più uno» spronati da Biden a rinnovare il Jcpoa, ovvero, l'accordo sul nucleare? Le cose sono cambiate, le colossali violenze e violazioni dei diritti umani, le donne senza paura e senza velo in piazza, non consentono più la gestione del rapporto con l'Iran secondo «business as usual».
Come dice l'ambasciatore Ron Dermer nel podcast Jinsa «Politically Incorrect», due cose sono accadute: il regime di paura che teneva la gente a casa si è infranto e la richiesta di cambiamento, di «regime change» è totale. In secondo luogo, si sta formando un nuovo fronte internazionale dagli Usa, all'Ue ai Paesi Sunniti contrapposti all'Iran, alle istituzioni dell'Onu, su un atteggiamento comune, che non ne può più della prepotenza interna ed esterna del regime. La gente da Teheran sente il nuovo sostegno, e ne ricava forza.
Al tempo della caduta del Comunismo, l'Unione Sovietica che sembrava immortale, si spezzò di fronte alla immensa disapprovazione interna e esterna, quando ai refusenik e al biasimo morale si unì la voce americana e l'azione concreta internazionale.
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