«Le norme già esistono, ma nessuno le rispetta». Il sindaco di Benevento, Clemente Mastella, ministro della Giustizia nel secondo governo Prodi, interviene sull'annoso e irrisolto problema delle intercettazioni, tornato al centro del dibattito dopo la cattura di Matteo Messina Denaro.
Su questo tema, la sua posizione rimane invariata?
«Mi pare abbastanza evidente che le intercettazioni servano. Questo nessuno lo mette in dubbio. Pubblicare intercettazioni su vicende personali, rende già compromessi, in virtù di questa esposizione mediatica, persone che sono sottoposte a investigazione e che, poi, magari, risultano innocenti».
Può fare un esempio?
«Mia moglie disse al telefono: Io quella persona non la voglio più vedere. Per me è un uomo morto. Come se mia moglie fosse camorrista. Mentre invece aveva connivenze, colui che i pm utilizzarono contro mia moglie. A distanza di anni, in un altro processo, si scoprì che i rapporti con esponenti della camorra li aveva colui che fu utilizzato per far saltare me e mia moglie. Una vergogna, intanto il fango mediatico era stato messo in circolazione e ad arte».
Quindi, il problema è il fango?
«Certo, la cosa sconvolgente non sono le intercettazioni, ma la gogna mediatica a cui sono sottoposte le persone. Far venire fuori delle cose che, poi, vengono derubricate, sconosciute come movente di natura giudiziaria e investigativa. E, intanto, si mette in ludibrio l'indagato. Già il fatto stesso che gli investigatori chiamassero mia moglie lady Mastella era di grande irriverenza e scostumatezza. È irrispettoso tutto questo, mentre ritengo inappropriato il trojan che viene esageratamente utilizzato. Lo userei solo per le vicende di mafia».
Condivide la proposta del sottosegretario Del Mastro sulle intercettazioni?
«Sì, ma il punto è chi gliele dà ai giornalisti queste intercettazioni: magistrati, avvocati o piovre del mondo intorno ai tribunali. Il giornalista fa il suo mestiere. È questa l'unica separazione che serve. Il problema è chi dà certe informazioni, non chi le riceve».
Nel complesso, come giudica l'operato e le parole del ministro Nordio?
«Ho patito anch'io qualche circostanza in cui ci sono state alcune sue espressioni non felici. Detto questo, la mia opinione è che si esce da questo stato paludoso solo se c'è un dialogo sincero e vero tra le Istituzioni, cosa che non vedo».
Crede che la maggioranza riuscirà a trovare un punto di caduta sulla riforma della giustizia?
«Quando si parte così è difficile perché anche la maggioranza è divisa. La maggioranza deve discutere con le opposizioni, con gli avvocati e i magistrati, ma se all'interno della coalizione già ci sono contrapposizioni diventa complicato. E la maggioranza diventa minoranza».
Perché il Pd continua a seguire le sirene giustizialiste?
«Non mi parli del Pd. Solo quando sono toccati direttamente scoprono che c'è una giustizia che a loro non piace. Quando, invece, tocca agli altri, a loro non frega nulla. L'avviso di garanzia, ad esempio, era il pretesto per far dimettere i ministri, ma quando arrivò a qualche ministro del Pd smise di essere strumento di afflizione rispetto alle persone. C'è molto doppiopesismo nel Pd».
Come giudica le nomine sul Csm?
«Valentino è un galantuomo e non capisco come mai sia
stato messo fuori gioco. Forse il livello qualitativo, da parte di tutti, poteva essere anche più alto. Avrebbero potuto fare delle scelte migliori, ma spero che gli eletti possano operare utilizzando le migliori energie».
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