O rmai siamo alle comiche, con sul banco degli imputati l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini a far la parte del cattivissimo e dall'altra parte i «buoni» che gli puntano il dito contro accusandolo di sequestro di persona, neanche fossimo in un film di Sergio Leone.
Qualcuno deve aver scambiato il processo Open Arms per il set di un colossal holliwoodiano, tanto che tra i protagonisti è stato assoldato anche l'attore americano Richard Gere, ammesso a parlare tra i 26 testimoni che saranno ascoltati a partire dal prossimo 17 dicembre, data della prossima udienza. Tra i testi vi saranno anche l'ex premier Giuseppe Conte, il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, e tre componenti del governo Conte I: l'ex vicepremier Luigi Di Maio e gli ex ministri dei Trasporti Danilo Toninelli e della Difesa, Elisabetta Trenta. Ma tra i citati anche l'ex direttore dell'Aise Luciano Carta e l'ex premier maltese Joseph Muscat.
Che dirà Richard Gere al processo è una sorpresa, ma è possibile che racconti di quando, nel 2019, dalla Toscana, dove era in vacanza con la famiglia, partì per Lampedusa per unirsi ai volontari del soccorso di Open Arms che tentavano di far sbarcare «i poveri migranti», che da buon buddhista Gere si preoccupò di chiamare «profughi». Chissà se da frequentatore dell'istituto tibetano di Pomaia si ricordava che l'Italia qualche anno fa bloccò alla frontiera aerea dei monaci, rifugiati politici, che forse fossero arrivati col barcone come immigrati clandestini non avrebbero avuto problemi. In quell'occasione Gere non pronunciò una parola. Il leader della Lega si è lasciato sfuggire un commento a caldo: «Ditemi voi quanto è serio un processo dove verrà da Hollywood a testimoniare sulla mia cattiveria Richard Gere. Spero che duri il meno possibile perché ci sono cose più importanti di cui occuparsi. Mi dispiace solo per due cose, per il tempo che tolgo ai miei figli e per i soldi che gli italiani spendono per questo processo politico organizzato dalla sinistra».
La cosa che inquieta di più è che quello che somiglia sempre più a un procedimento mediatico si tiene dentro l'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo, dove si sono tenute le udienze per i boss mafiosi. E stona molto questa spettacolarizzazione in un luogo così.
Ieri i pm hanno chiesto anche le comunicazioni intercorse tra le autorità coinvolte nella vicenda dal momento dalla prima richiesta di porto sicuro avanzata dalla nave allo sbarco a Lampedusa. Ma anche il «decreto ministeriale che vietò alla Open Arms con i 147 migranti a bordo di entrare in porto, gli atti della Procura dei minori sulla presenza dei minorenni a bordo, le relazioni psicologiche e mediche sullo stato delle persone che si trovavano sull'imbarcazione spagnola». E tutta una serie di altri documenti che fanno quasi supporre un accanimento nei confronti di Salvini.
L'avvocato ed ex ministro della Giustizia Giulia Bongiorno, che lo difende, ha chiesto che l'ex ministro dell'Interno sia ascoltato, che siano acquisiti due decreti di archiviazione che escludono, in casi analoghi a quello della Open Arms, la competenza italiana nell'assegnazione del Pos (Place of safety) e, tra gli altri atti, le indicazioni del governo dell'epoca relative agli accordi europei sulla redistribuzione dei migranti. In realtà il processo Open Arms non avrebbe neanche dovuto tenersi, visto che la casistica è del tutto simile a quella del caso Gregoretti. Fonti della Lega fanno sapere che il gup di Catania ha già smontato le accuse all'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini. Lo si legge chiaramente «alle pagine 77, 78 e 79 della sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal gup Nunzio Sarpietro» per l'altra vicenda, quella di nave Gregoretti. La nave aveva rifiutato lo sbarco «di 39 migranti nell'isola di Malta e due diversi Places of safety indicati dal governo spagnolo».
Insomma, un piano ben orchestrato su cui diversi avversari politici di Matteo Salvini, di sinistra e M5, hanno tentato di giocare per annientarlo usando la carta della Giustizia. Su questo sì che un giorno sarebbe da farci un film.
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