Per la Procura è il giorno della sconfitta

Bruti resta in silenzio, la Boccassini amara si sfoga con i colleghi: la sentenza mi rende l'onore delle armi

Per la Procura è il giorno della sconfitta

Milano - Nel giorno della catastrofe, Edmondo Bruti Liberati misura a passi lunghi il corridoio della Procura della Repubblica. Ha visto, procuratore? «Non commento quando le cose vanno in un modo, non commento quando vanno nell'altro». E solo lui, dentro di sé, sa se in queste ore non facili si interroghi su questi quattro anni. Se si chieda un po' «chi me l'ha fatto fare». Se si domandi se sia stata una scelta saggia lasciare campo aperto a Ilda Boccassini, il procuratore aggiunto, capo del pool antimafia: quando le consegnò senza fare resistenza un fascicolo su cui non aveva alcuna competenza; e dopo, quando è partita a testa bassa, scatenando sulla testa del Cavaliere una tempesta alla Desert Storm. E che ora rischia di lasciare terra bruciata non ad Arcore ma qui, in questo corridoio che da vent'anni si è trasformato nella trincea giudiziaria di una guerra senza quartiere.

Il procuratore è solo, nella sua lunga camminata in questo corridoio dei passi perduti. Ilda Boccassini è in stanza, la porta aperta, con uno dei suoi sostituti di fiducia. Sono passati pochi minuti dalla sentenza che ribalta il caso Ruby, assolvendo con formula piena Silvio Berlusconi. Per la terza volta nella sua ventennale caccia al Cavaliere, la dottoressa deve prendere atto che la preda le è sfuggita. Era successo col processo del Lodo Mondadori, era tornato ad accadere con il caso Sme. E adesso ci risiamo. Il linguaggio del corpo, per quel che vale, non tradisce emozioni: la Boccassini è appoggiata allo schienale, la mano sul bracciolo, chiacchiera. Se vive con rabbia questo momento, lo nasconde bene o lo ha già smaltito.
Entrambi, il procuratore e la sua «vice», sanno però che questa sconfitta non resterà senza conseguenze. Ai pochi con cui ieri si confida, Ilda Boccassini rimarca quel passaggio della sentenza che in qualche modo le rende l'onore delle armi, dando atto di non essersi inventata tutto, e riconoscendo che le serate di Arcore non erano solo «cene eleganti». I contatti hot tra Berlusconi e Ruby, per i giudici della corte d'appello ci furono: ma il Cavaliere non sapeva che la ragazzona con le gambe chilometriche era minorenne. E così per la corte d'appello tutto si riduce a una vicenda privata, fatti di adulti, camere da letto su cui la giustizia non ha niente da dire.

Spendere due anni di inchiesta e uno di processo per capire cosa accadesse in quella camera da letto è stata una mossa vincente? È questa la domanda che in queste ore probabilmente si fa Edmondo Bruti, che sul pieno appoggio alla Boccassini si è giocato la credibilità di quarant'anni di magistratura, affrontando l'inchiesta interna del Csm e soprattutto la drammatica spaccatura della «sua» Procura. Forse si chiede se non sarebbe stato meglio lasciare tutta l'inchiesta in mano ai pm che l'avevano iniziata, e che l'avrebbero condotta come una indagine qualunque e non come una crociata.


Nella sua autodifesa davanti al Csm, Bruti si è fatto forte dei risultati. Dare l'inchiesta su Ruby a Ilda Boccassini sarà stato fuori dai protocolli, ma aveva portato ad una sentenza di condanna. Da ieri, non è più vero neanche questo.

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