L'impegno a mettere mano alla giustizia, salutato dal lungo applauso dai banchi del centrodestra: quando Mario Draghi nell'aula del Senato ha affrontato questo passaggio del suo programma, a Paolo Mieli è corso davanti agli occhi un déjà vu: quello dei tanti governi affossati non dal voto degli elettori ma dagli avvisi di garanzia. A raccontarlo è stato lo stesso Mieli, ex direttore del Corriere e ex presidente di Rcs, in una intervista a Radio24. «Non faccio previsioni e non ho notizie inedite da svelare. Mi limito a osservare l'insegnamento della storia recente del paese. Negli ultimi trent'anni non c'è stato governo, soprattutto se aveva una immagine forte, che non abbia avuto problemi con il sistema della giustizia».
Nello scenario evocato da Draghi, un posto importante è occupato da quanto sta accadendo nell'universo dei 5 Stelle: «Guardo cosa bolle in pentola, e vedo che un giornale come il Fatto Quotidiano è schierato dalla parte degli scissionisti, dice tra le righe che Grillo si è rimbecillito e che quelli che hanno votato a favore del governo si sono accomodati. Sarebbe una forma di libera espressione giornalistica se non sapessimo che il Fatto è un giornale molto caro alla magistratura più militante. Aspettiamo e vediamo...».
I precedenti, ricorda Mieli nell'intervista, non mancano. «Di fatto ogni tipo di governo ha avuto problemi con magistrati più o meno combattivi. Non c'è stato neppure bisogno di prendere di mira il presidente del Consiglio. Nel 2008 il meccanismo che portò alla caduta di Prodi fu innescato dall'inchiesta contro Clemente Mastella, ministro della Giustizia, e sua moglie».
Il movente è sempre il solito, basta che un governo dia segno di voler riformare tribunali e procure, e parte la reazione. «Prima - dice Mieli - il potere giudiziario risponde in modo risentito attraverso i suoi organi ufficiali. Poi qualche pm di qualche parte d'Italia parte con un'inchiesta. Non c'è un'organizzazione, non ci sono ordini dall'alto, ci sono però degli automatismi. Quel pm parte perché sa di trovare intorno a sé il consenso della categoria. Come poi vada a finire l'inchiesta, magari dieci anni dopo, è del tutto irrilevante».
«Non sto parlando di tutti i magistrati - precisa Mieli a Radio24 - ma della magistratura più militante. Sono loro in questi anni ad avere condotto le danze. E ora tutto è reso più delicato dal momento difficilissimo che vive la giustizia, grazie anche al fatto che il Consiglio superiore della magistratura non abbia affrontato nei dovuti termini il caso Palamara. Che un libro come quello di Palamara e Sallusti sia in cima alle classifiche è un fatto eclatante, era dai tempi della Casta di Rizzo e Stella che non accadeva un fatto editoriale simile, e la dice lunga sul modo in cui il paese guarda alla giustizia. Eppure i nodi non vengono affrontati, persino la nomina del procuratore di Roma torna ad essere un passaggio irrisolto dopo l'annullamento della nomina di Prestipino. Con questo Csm terremotato ogni cosa è possibile».
In questo caos anche Mario Draghi rischia di essere preso di mira dai pm se interviene con forza sul nodo giustizia? Mieli non lo dice esplicitamente, ma il riferimento al caso Mastella racconta che un lato debole da colpire, a volere, si trova sempre.
«La ribellione di un nutrito gruppo di 5 Stelle e l'appoggio evidente del Fatto Quotidiano - spiega Mieli - sono campane che mandano un suono distinto e che si sente bene. Chi vivrà vedrà. Dì sicuro, dalle parti della magistratura militante sta ribollendo qualcosa».
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