Il dipartimento di punta della Procura di Milano è da ieri guidato da un magistrato formalmente imputato di nascondere le prove. È questa la sostanza della svolta - resa nota ieri dal Corriere della sera - dell'inchiesta a carico del procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e del pm Sergio Spadaro, suo braccio destro all'epoca dei processi Eni. La Procura di Brescia, competente a indagare sui reati commessi dai colleghi milanesi, aveva iscritto De Pasquale e Spadaro per il reato di rifiuto di atti d'ufficio, e in autunno aveva comunicato a entrambi la chiusura delle indagini preliminare. In novembre i due magistrati erano stati sentiti e su loro richiesta era stato concesso un supplemento di indagine, per verificare la fondatezza delle loro tesi difensive. Ma la verifica non ha dato i frutti sperati. E la procura bresciana si è convinta che davvero, nel corso del processo per corruzione internazionale ai vertici Eni, De Pasquale e Spadaro abbiano intenzionalmente tenute nascoste alle difese le prove, già acquisite al fascicolo, che il «superteste» Vincenzo Armanna inquinava l'inchiesta promettendo soldi ai testimoni e fabbricando false chat per incastrare i vertici del colosso di Stato. Un comportamento che la Procura bresciana, guidata da Francesco Prete, inquadra nel furore riversato dalla Procura milanese nel processo Eni, che andava vinto a tutti i costi; lo stesso furore che portò a imboscare i verbali dell'altro pentito, Piero Amara: «De Pasquale disse che andavano chiusi nel cassetto per due anni», ha dichiarato a verbale il pm milanese Paolo Storari, finito anche lui nel frattempo sotto processo.
Dopo decenni di buon vicinato, è la prima volta che la Procura di Brescia interpreta così energicamente il ruolo che la legge gli assegna di vigilanza sui reati eventualmente commessi nel palazzo di giustizia di Milano. Sotto processo sono già Storari e Piercamillo Davigo, ora rischiano di finirci De Pasquale e Spadaro, mentre l'ex capo Francesco Greco è sotto inchiesta per il caso del Monte dei Paschi di Siena. Il problema è che mentre Greco e Davigo sono ormai ex magistrati, De Pasquale è in funzione a tutti gli effetti, ed è a capo di uno dei settori più delicati di tutti, la corruzione internazionale. Con che serenità possa svolgere la sua funzione, vista la gravità delle accuse che gli pendono sulla testa, è facile da immaginare. D'altronde il Consiglio superiore della magistratura, che aveva avviato una procedura di trasferimento per incompatibilità ambientale a carico di De Pasquale, ha congelato tutto per evitare accavallamenti con l'indagine in corso a Brescia. E anche il procedimento disciplinare avviato dal procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, è rimasto finora privo di effetti concreti.
Così, in attesa che venga vagliata la richiesta di rinvio a giudizio avanzata contro De Pasquale e Spadaro, la Procura di Milano, uno degli uffici giudiziari più delicati del paese, rimane in mezzo al guado dei veleni del caso Eni.
Frastornati dal putiferio piombato sul loro ufficio, ottanta pubblici ministeri chiedono solo che si volti pagina e si torni a lavorare serenamente, con il nuovo capo Marcello Viola. Ma la strada a quanto parre sarà ancora lunga.
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