Strategie opposte per obiettivi opposti. Il presidente catalano Carles Puigdemont cerca e cercherà di spostare la crisi su un piano internazionale e preme a tutta forza sull'acceleratore per ottenere altrove ciò che un referendum illegale e dai risultati inaffidabili non può dargli in Spagna. Mariano Rajoy mantiene invece rigorosamente la crisi entro i confini nazionali, rifiutando di riconoscere alla Catalogna e ai suoi leader indipendentisti ciò cui più ambiscono: uno status internazionale separato dalla Spagna.
Il giorno dopo il campale primo ottobre, con le sue violenze e i suoi feriti nelle strade, è più che mai muro contro muro. Nessuno dei contendenti può più fare marcia indietro, e gli animi si esasperano pericolosamente: uno sviluppo inquietante e al tempo stesso sconfortante in un Paese - la Spagna - che ha già vissuto negli anni Trenta del Novecento una spaventosa guerra civile. Di questa memoria storica gli indipendentisti catalani non hanno tenuto alcun conto mentre procedevano a testa bassa verso un obiettivo arduo da conseguire e che nella migliore delle ipotesi è condiviso da una sola metà della popolazione.
Il confronto fisico è nelle strade della Catalogna, con la tensione palpabile e lo sciopero generale proclamato per oggi; lo scontro politico è a Madrid, dove il premier Rajoy ha convocato un vertice politico che potrebbe concludersi con il commissariamento delle autorità catalane e la destituzione del presidente Puigdemont, e a Barcellona dove lo stesso Puigdemont medita di bruciarsi i ponti alle spalle smentendo se stesso e proclamando l'indipendenza catalana. Ma tutti, in realtà, si appellano all'Europa, cercando sostegno da quello che è stato definito un convitato di pietra ma che in realtà ha preso da subito posizioni chiarissime a difesa del principio di legalità.
L'Europa. Un club di Stati sovrani ciascuno con le proprie regole costituzionali il cui rispetto è la base su cui l'intera costruzione si regge. Gli indipendentisti catalani pretendono di aggirare questa regola fondamentale europea e di ottenere dall'Europa stessa garanzie e mediazione per raggiungere i propri fini: improbabile a dir poco. Logico che Bruxelles stia con Madrid e con il suo premier Rajoy, che in nome del rispetto di quelle regole ha ottenuto anche in patria il sostegno di partiti d'opposizione che non gli fanno mai sconti su nulla.
Altra cosa è il richiamo sull'uso
della violenza, che Bruxelles ha fatto ieri a Rajoy con una cautela che ad alcuni è parsa eccessiva, senza per questo mettere in discussione il principio secondo cui un referendum illegale non ha e non deve avere valore.
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