Al vertice della Comunità politica europea in corso da ieri a Budapest domina il dossier ucraino, specie dopo la vittoria di Donald Trump, che da gennaio sarà in carica come 47° presidente degli Stati Uniti. L'enigma Trump è il cuore delle conversazioni ospitate dal premier ungherese Orbán, che è pure il più trumpiano dei leader Ue. Le dichiarazioni dei presenti, più o meno abbottonate, lasciano intendere che nessuno sappia davvero realmente cos'abbia in testa di fare The Donald; tanto sul sostegno militare a Kiev quanto sui dazi all'Ue, e soprattutto come voglia relazionarsi col Cremlino. Rompe gli indugi il padrone di casa, proponendo a Kiev e Mosca un cessate il fuoco. Un primo passo per la pace, dice Orbán. Ma il risultato è aprire una crepa politica che innesta altri dubbi sull'esito del muro Ue alzato finora col sostegno statunitense. Tutto accade proprio nel format concepito dalla Francia nel 2022 come risposta politica all'invasione russa: con i 27 dell'Ue e gli Stati che seguono la via per aderire. All'ordine del giorno, anzitutto le incertezze sulla sicurezza dell'Europa: messa alla prova da Mosca.
Al tavolo, ci sono anche Ucraina, Moldavia e Paesi dei Balcani occidentali, Albania inclusa, protagoniste di sfide lanciate da Putin a ripetizione; non solo militari, come testimoniano i Paesi baltici e le recentissime elezioni in Moldavia. In una dichiarazione congiunta, i leader di Italia, Francia, Germania, Polonia, Regno Unito e Romania, assieme al presidente del Consiglio europeo Michel e alla N.1 della Commissione Von der Leyen, condannano i «tentativi documentati di alterare i risultati elettorali attraverso la manipolazione di campagne informative, corruzione e schemi di acquisto di voti», salutando il successo della presidente moldava Sandu che ha battuto il filo-Cremlino Stoianoglo nonostante la tentata «destabilizzazione». Ma il «giallo» Trump resta il convitato di pietra: se abbia intenzione (e come) di realizzare la promessa di porre fine alla guerra russo-ucraina «in 24 ore». Per qualcuno, quella frase lasciava presagire un repentino disimpegno statunitense nei confronti di Kiev. Zelensky, anche lui a Budapest, taglia corto: «Nessuno può ancora sapere quali saranno le sue azioni concrete», ma fare concessioni a Putin sarebbe «un suicidio» per tutta l'Europa.
La stoccata del presidente ucraino è al padrone di casa Orbán («L'Ungheria non ci ha aiutato con le armi, non ha diritto di critica», dice citando il cessate il fuoco del 2014 finito con Putin che si prese la Crimea). Ucraina a parte, l'Europa sa che dovrà fare i conti con un ombrello Usa sempre meno performante. Svegliamoci, dice Macron, siamo una potenza enorme, nessun mercato è unito dai nostri valori come il nostro. Poi il presidente francese cita i sistemi di arma di cui dispone ogni Paese e invita all'unità: «C'è un interesse che abbiamo tutti, che la Russia non vinca». Ma ammette: in sala «esistono sensibilità diverse». E sulle sfide che aspettano l'Occidente: «Il nostro modello di democrazie liberali sono oggetto di preda. Il mondo è fatto di carnivori ed erbivori, se decidiamo di restare erbivori i carnivori ci mangeranno». L'altro enigma è proprio Orbán, al tavolo il più filo-putiniano.
Proprio Putin ha fatto da contraltare al summit Ue da Sochi, rispolverando il leitmotiv intonato davanti ai Brics. Lo zar è convinto di non aver violato il diritto internazionale, prima di dire che la Nato è anacronistica e ha un ruolo distruttivo che ci ha costretto a reagire.
Sull'ordine mondiale: «Il vecchio è irrevocabilmente scomparso e si è sviluppata una lotta per la formazione di un nuovo mondo, non per il potere, ma per i principi». Infine congratulazioni a Trump: «Spero di incontrarlo presto». E apre un canale dicendo che l'iniziativa per mettere fine al conflitto in Ucraina è «degna di attenzione».
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