Ogni volta che uno sforzo per dare una svolta positiva alla guerra in Ucraina viene frustrato, Vladimir Putin ricorre alla stessa arma retorica: minaccia, in un modo o nell'altro, di metter mano all'arsenale nucleare della Russia. Il tentativo di sfondamento verso Kharkiv si è impantanato, l'«irresistibile avanzata» nel Donbass incontra la tenace resistenza degli ucraini, i droni lanciati da Kiev incendiano raffinerie e depositi di carburante non solo nelle regioni russe di confine, ma fino alla remota Astrakhan, presso il Mar Caspio, mettendo impietosamente in luce i limiti della difesa aerea di Mosca? Ed ecco che Putin, ogni volta come se fosse la prima, ricorda ai russi e al mondo che aumenterà le potenzialità dell'unico settore militare in cui si sente davvero forte: quello nucleare, appunto.
Lo ha fatto anche ieri incontrando, al ritorno dal suo viaggio in Estremo Oriente, i diplomati degli istituti militari superiori. «I nostri piani ha detto il dittatore, fresco di intese per nuovi rifornimenti di munizioni e razzi da parte del suo alleato e complice nordcoreano Kim Jong Un includono il proseguimento dello sviluppo della nostra triade nucleare terrestre, navale ed aerea come garanzia di deterrenza strategica e mantenimento dell'equilibrio delle forze a livello globale». Poi il tono si è fatto più minaccioso: «Continueremo sicuramente a rafforzare il nostro potenziale, aumentando le capacità di combattimento di tutti i rami e servizi delle Forze armate. Metteremo in servizio di combattimento sistemi all'avanguardia che hanno dimostrato le loro qualità e caratteristiche uniche».
È un classico di tutti i dittatori nelle fasi difficili delle loro guerre d'aggressione: convertire alla guerra le economie dei loro disgraziati Paesi e sventolare l'immancabile super arma che darà l'attesa vittoria. Peccato per Putin che questo gioco sia già stato tentato più volte in questi ventisei mesi di guerra all'Ucraina, e soprattutto che la minaccia nucleare intimidisca sempre di meno. E questo non per incoscienza di chi ne è oggetto, ma perché è chiaro che usare armi atomiche metterebbe il dittatore russo in una situazione pericolosissima per la sopravvivenza del suo regime, vuoi perché non è certo l'unico a disporne e quindi rischierebbe una risposta occidentale ugualmente devastante, vuoi perché si ritroverebbe isolato nel mondo.
Forse perché consapevole di tutto ciò, Putin invia allo stesso tempo segnali di disponibilità al dialogo con gli Stati Uniti e con la Nato. La formula usata dal leader russo è «sicurezza equa e indivisibile in Eurasia», tema da affrontare con la controparte occidentale «quando saranno pronti anche loro». Nelle parole del suo portavoce Dmitry Peshkov, però, la discussione con Washington dovrebbe necessariamente includere il capitolo ucraino, che Joe Biden intende invece lasciar fuori da eventuali tavoli negoziali. Il Cremlino pretende che la partecipazione indiretta al conflitto in Ucraina degli americani che fa letteralmente la differenza sul campo di battaglia - sia essere oggetto di colloqui.
E questo mentre a Mosca schiumano di rabbia per il bando appena inflitto dal Dipartimento Usa del Commercio all'azienda russa Kaspersky, produttrice di un noto antivirus. Il mercato Usa le resterà precluso per timori fondati di spionaggio, e a Mosca gridano alla concorrenza sleale.
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