Putin e il vizio dei gulag. Spedisce in Siberia l'oppositore Kara-Murza

Il dissidente sconta 25 anni per "tradimento". Proprio ieri pure Navalny rimesso in isolamento

Kara Murza fotografato nel 2017
Kara Murza fotografato nel 2017
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In Siberia! L'intramontabile sentenza dell'altrettanto intramontabile autoritarismo russo è tornata a risuonare per uno dei più coraggiosi esponenti dell'opposizione alla dittatura putiniana: Vladimir Kara-Murza. Nello scorso aprile, al termine di un processo a porte chiuse, l'uomo che aveva osato non solo criticare la guerra d'aggressione all'Ucraina, ma anche svolgere una campagna giornalistica per chiedere ai Paesi occidentali di sanzionare per questo i massimi esponenti del regime del Cremlino, era stato condannato a una pena di durezza senza precedenti: 25 anni di carcere duro. Pena chiaramente inflitta per punirlo della sua aperta sfida a Vladimir Putin, ma che è stata espressa con il linguaggio orwelliano che il regime predilige: Kara-Murza è stato riconosciuto colpevole di «diffusione di false informazioni a carico dell'esercito russo» e di aver agito in connessione a una «organizzazione indesiderata».

L'avvocato di Kara-Murza ha reso noto che il suo assistito è giunto, dopo «un viaggio di 2.700 chilometri che in pieno ventunesimo secolo ha richiesto tre settimane» con soste di alcuni giorni in penitenziari lungo la via, esattamente come accadeva ai tempi dello zarismo e successivamente dell'Unione Sovietica, nella colonia penale IK-6 presso la città siberiana di Omsk. Appena arrivato, il condannato è stato rinchiuso in una cella d'isolamento.

Per una coincidenza probabilmente non casuale, nella stessa giornata, un altro illustre prigioniero politico russo, Aleksei Navalny, è stato posto per la ventesima volta in meno di tre anni in cella d'isolamento nel penitenziario a 200 km a est di Mosca in cui sta scontando una pena che, a causa dei continui supplementi che gli vengono inflitti con i più vari pretesti, equivale di fatto a un ergastolo.

La Siberia è dunque tornata più che mai di moda nella Russia di Putin, che vi aveva già costretto tra gli altri a un soggiorno di una decina d'anni a regime duro l'oligarca rivale e tenace oppositore politico Mikhail Khodorkovsky. Un'usanza inaugurata già secoli fa in epoca zarista, e ripresa con assai maggiore durezza dal regime sovietico, che non si limitava a confinarvi gli oppositori politici (come, all'inizio del Novecento, gli stessi Lenin e Stalin), ma li sterminava a milioni attraverso il lavoro schiavistico imposto nei famigerati GuLag in condizioni disumane.

La carcerazione in Siberia di Kara-Murza non fa che confermare la svolta peggio che autoritaria di Putin, rimarcata simbolicamente in questi giorni dall'inaugurazione di un grande monumento dedicato al boia del Terrore Rosso leninista Feliks Dzerzhinskij, il fondatore dei servizi segreti sovietici CheKa, poi diventati Kgb e oggi ridenominati Fsb in Russia (in Bielorussia, dove non si pongono nemmeno il problema di fingere di occultare un passato che non passa mai, si chiamano ancora Kgb). Il recupero di Dzerzhinskij, però, non ha nulla a che vedere con quello dell'Urss: Putin non è un comunista, bensì un ultranazionalista con un passato nel Kgb, e semmai è un nostalgico dell'impero sovietico in quanto espressione della potenza della Russia. In questo contesto ha imposto un cinico recupero positivo nei testi scolastici della figura di Stalin in quanto «condottiero della vittoria sui nazisti».

E va nella stessa direzione la sempre più martellante propaganda militarista nelle scuole, che parte ormai addirittura dagli asili d'infanzia con marce ed esercitazioni in divisa: il regime cresce dalla più tenera età le prossime generazioni in un fanatismo che le prepara a combattere e a morire in nome di un concetto assai distorto di patria.

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