Due anni fa - quando s'incontrarono alla vigilia dell'attacco all'Ucraina - Vladimir Putin e Xi Jinping si promisero collaborazione senza limiti. Ventisette mesi di guerra hanno però cambiato le reciproche prospettive fissando priorità più difficili da conciliare.
Quelle diverse priorità diventeranno i paletti dell'incontro di domani a Pechino tra un Vladimir Putin al quinto mandato e un Xi Jin Ping chiamato a misurarsi con una crescita economica che sconta le paure dei suoi grandi partner commerciali. Prime fra tutti un'America e un'Europa preoccupate dalle minacce a Taiwan e dall'aggressività economica del gigante giallo.
Vladimir Putin assediato dalle sanzioni e costretto a far fronte ad un conflitto di cui non aveva previsto durata e portata punta a incrementare gli scambi commerciali. E soprattutto a sfruttare la fame d'energia di Pechino ricollocando sui suoi mercati il petrolio e il gas snobbati dai paesi europei. Un baratto indispensabile per garantirsi i componenti tecnologici da cui dipende la produzione di missili e armamenti ad alta tecnologia. Relazioni confermate dalle analisi del Carnegie Endowment for International Peace che rivelano come nell'ultimo anno l'89% delle importazioni indispensabili per la produzione di armamenti russi sia arrivata alla Cina. Ma se Putin si muove pensando alle esigenze della nuova economia di guerra Xi Jinping deve invece destreggiarsi su una corda sempre più tesa. Per capirlo basta esaminare la complessa rete d'incontri che ha scandito i suoi ultimi rapporti internazionali. A Pechino, a fine aprile, ha ricevuto il segretario di stato Usa Antony Blinken pronto a rammentagli come i rapporti commerciali tra i due paesi dipendano anche dalla volontà cinese di prendere le distanze da Mosca. Minacce rese assai concrete dalle sanzioni imposte alle aziende di stato cinesi colpevoli, secondo Washington, di alimentare l'apparato militare russo. Sanzioni che potrebbero venir estese alle istituzioni finanziarie del Dragone.
Neanche dieci giorni dopo il presidente cinese è volato in Francia, Ungheria e Serbia. Tre tappe in cui il tema Russia lo ha costantemente inseguito. Con Macron - pronto a parole a mandare soldati in Ucraina - ha dovuto far buon viso al cattivo gioco dell'«amico» Putin pronto a minacciare, proprio mentre Xi era all'Eliseo, l'utilizzo di armi atomiche tattiche in risposta allo schieramento di soldati europei sul fronte ucraino.
La Cina - si è giustificato Xi Jinping affrontando la questione Ucraina - «non è all'origine di quella crisi, non è parte in causa e, tanto meno, partecipa ad essa». Ma il suo passaggio da Ungheria e Serbia, veri ventri molli dell'Europa, ha evidenziato interessi geo-politici ben più vicini all'asse di Mosca che non a quello di Bruxelles. Dunque da una parte l'interesse tutto geopolitico di proporsi come padrino dei Brics e del fronte sud del mondo avvicina Xi a Mosca. Dall'altra gli impone di guardare a quei mercati americani ed europei cruciali per le proprie esportazioni.
In questa ridda di interessi e contraddizioni Putin
e Xi Jinping dovranno oggi inventarsi una linea comune che non risulti troppo imbarazzante per Pechino e garantisca a Putin la continuazione di una guerra di cui è sempre più difficile stimare costi e orizzonti temporali.
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