Alla sua prima conferenza con domande di giornalisti e cittadini dopo l'invasione russa dell'Ucraina, Vladimir Putin si è presentato con una cartelletta gialla bordata di azzurro: i colori nazionali del Paese che ha aggredito militarmente ormai quasi due anni fa. Non è stato l'unico gesto apparentemente provocatorio: sono state numerose le domande postegli in tono critico, che si potevano leggere su un grande schermo, da parte del pubblico che inviava sms da casa. «Quando le nostre vite miglioreranno?»; oppure: «Perché la sua realtà è diversa da quella reale nostra?»; o ancora, con aperta ironia: «Come si fa a trasferirsi nella Russia di cui parlano su Channel One?, che è il canale principale molto incline alla propaganda governativa - della tv pubblica.
Putin si è dunque convertito al libero confronto? Ma no. Il presidente-padrone della Russia non era tenuto a rispondere a tutte le domande, e infatti a quelle scomode non ha risposto. Era suo interesse, però, dare a un pubblico anche internazionale la falsa impressione che esista in Russia una normale dialettica, e che quando il 17 marzo verrà eletto con oltre l'80 per cento dei voti si sarà trattato di una vittoria genuina, anche se contro «avversari» selezionati con cura per non potergli dare fastidio (l'unico reale oppositore politico, Aleksei Navalny, è in galera da quasi tre anni e se ne sono perse le tracce da una settimana).
Le presidenziali vengono presentate come un referendum sulla «sua guerra». Ed è su questo tema che si sono concentrate le risposte più interessanti di Putin. Consapevole che l'intero popolo russo vorrebbe sapere se ci sarà un'altra mobilitazione, ha detto che non servirà perché «al momento abbiamo 486mila coscritti che difendono gli interessi della madrepatria». Poi ha aggiunto che sono 617mila i soldati russi attualmente schierati in Ucraina e che «ogni giorno in tutto il Paese ci sono 1.500 nuovi volontari». Ha però ignorato la domanda che ai russi è vietato porre: perché i coscritti non vengono rimandati a casa? Anche perché la risposta è nella cifra impressionante (che ha taciuto) calcolata dall'intelligence americana: dei 360mila uomini mandati in Ucraina nel febbraio 2022, 315mila sono stati uccisi o feriti.
Putin si è detto certo che presto l'Occidente nel quale «moltissimi condividono i nostri valori tradizionali e collaborano con noi» (come non pensare all'ungherese Orbàn?) - cesserà di armare Kiev, che la Russia vincerà e ha confermato che i suoi obiettivi rimangono «la denazificazione e smilitarizzazione dell'Ucraina», ovvero la cacciata di Zelensky e la resa totale del suo esercito, e che solo una volta raggiunti quegli obiettivi arriverà la pace. Un messaggio inequivocabile a chi vuol credere in un compromesso: per Putin negoziare significa imporre le sue condizioni. Un passaggio illuminante ha riguardato l'indottrinamento al nazionalismo anti occidentale dei giovani russi. «Bismarck ha detto che le guerre non sono vinte dai generali, ma dai maestri di scuola e dai parroci: aveva assolutamente ragione ha detto Putin -. Educare i giovani a diventare patrioti è importante e stiamo cominciando a farlo: più di mille combattenti dell'operazione militare speciale stanno lavorando nelle scuole e nelle organizzazioni per l'infanzia. Espanderemo questo lavoro».
Ma forse la risposta più significativa è stata quella all'ultima
domanda: «Cosa direbbe il Putin di oggi a quello del 2000?». «Gli direi: sei sulla strada giusta, compagno. E gli consiglierei di essere meno ingenuo verso i nostri cosiddetti partner e di confidare nel grande popolo russo».
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