Qualcuno bara e qualcun altro bluffa. Il poker del metano sconvolge i governi

Per i combustibili 800 milioni al giorno allo Zar. Polonia e Bulgaria aiutate dagli alleati, ma l'ondata filo-russa rischia di essere decisiva

Qualcuno bara e qualcun altro bluffa. Il poker del metano sconvolge i governi

Al poker del gas qualcuno bara e qualcuno bluffa. Qualcun altro rischia però la bancarotta energetica e il caos politico. Per capirlo basta sbirciare dietro le quinte della partita aperta con l'annuncio del taglio delle forniture di Gazprom a Polonia e Bulgaria colpevoli di aver rifiutato il pagamento in rubli. Il bluff della Russia è evidente. Visto il costo di sanzioni e guerra la Federazione non può certo rinunciare agli 800 milioni di dollari quotidiani pagati dagli altri Paesi europei per gas e petrolio. Il rigore nei confronti della Polonia, contrarissima alla clausola del pagamento in rubli pretesa da Mosca, assume dunque una doppia valenza. Da una parte rappresenta un avviso a quanti in Europa rifiuteranno le richieste russe, dall'altra una rappresaglia nei confronti di un Paese portabandiera del rigore anti-russo e principale canale delle forniture di armi a Kiev. Quella rappresaglia ha però limitate conseguenze economiche. Varsavia, ha annunciato fin dal 2020 il mancato rinnovo del contratto con Gazprom in scadenza a fine 2022. Inoltre la realizzazione del Baltic Pipe, un gasdotto collegato con i pozzi norvegesi pronto a entrare in funzione già a ottobre, consentirà a Varsavia di rimpiazzare al 60% le forniture di gas garantite, fino ad ieri, dallo Yamal. E a evitare carenze energetiche contribuiranno, oltre alle riserve, le importazioni di Gpl e le forniture in arrivo da un muovo gasdotto collegato con la Lituania. La Polonia, nemica giurata della Russia, sfrutta il vantaggio garantito dalle sue pregresse scelte energetiche per presentarsi come la paladina del rigore anti-russo. Un rigore che a livello europeo stenta a materializzarsi. Proprio ieri la Commissione, al cui interno pesano dubbi, divisioni e contrarietà alimentate da Paesi come Olanda, Germania e Ungheria, si è vista costretta a rinviare ogni decisione sull'eventuale blocco del petrolio russo. Un'altra prova delle incertezze di Bruxelles era arrivata una settimana fa con il via libera ai pagamenti in rubli garantito dall'Ue alle aziende energetiche. Grazie a quella clausola, o meglio a quel sotterfugio, il cambio in rubli realizzato all'atto del pagamento dalla banca di Gazprom non sarà considerato una violazione delle sanzioni, ma una semplice manovra contabile. Una dimostrazione di come, nonostante annunci e dichiarazioni di principio, l'Unione resti irrimediabilmente divisa e sostanzialmente condannata a una lunga dipendenza dal gas russo. Una condanna determinata anche - come spiega a il Giornale il presidente di Federpetroli Michele Marsiglia «dalle tempistiche che inevitabilmente intercorrono tra la firma di un contratto, la produzione e, infine, la fornitura della materia prima necessaria a concretizzarlo». Quello iato rappresenta oggi la spina nel fianco delle politiche di approvvigionamento energetico percorse dal governo italiano. La prova più evidente, fanno capire fonti dell'Eni, sono i contratti firmati di recente con l'Algeria. Stando alle stime la Sonatrach, l'azienda energetica di stato algerina, avrà bisogno di almeno qualche anno per mettere a punto gli impianti necessari ad aumentare la produzione e onorare così i contratti firmati con il nostro Paese. Quindi se da una parte l'Italia si presenta come il trampolino per la ricerca di nuovi fornitori energetici destinata a coinvolgere tutta l'Europa, dall'altra è anche chiaro che questa ricerca tarderà a dare frutti. Nell'attesa il rischio è quello di fare la fine della Bulgaria, vero «calimero» della partita energetica aperta con il taglio delle forniture di Gazprom. In quel Paese la dipendenza dal gas russo pesa per quasi il 90%. E a Sofia, a differenza di quanto avvenuto a Varsavia, il governo del premier Kiril Petkov e quelli che l'hanno preceduto, non hanno avuto né il tempo, né la volontà d'individuare forniture alternative.

Crisi energetica e conseguenze economiche minacciano dunque di travolgere le politiche atlantiste di Petkov e ridar fiato a quei sentimenti filo-russi assai diffusi non solo tra la popolazione, ma anche tra le fila di un partito socialista determinate per la sopravvivenza del governo. Dimostrando la potenza di un'arma chiamata gas.

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