Enrico Mattei sosteneva che la storia d'Italia poteva apparire noiosa ma le storielle d'Italia sono chicche imperdibili. Il quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda ha avuto dimestichezza con gli ultimi cinque presidenti della Repubblica. E nel libro Capi senza Stato (Marsilio, pp. 223, 18 euro), tanto per fare il paio con i capi senza partito, ne racconta davvero di belle. Dopo tutto, i primi cittadini della Repubblica non differiscono dagli uomini politici che si muovono a valle. Come le banche, non ce ne voglia Antonio Patuelli, ti offrono l'ombrello quando il sole spacca le pietre e immancabilmente te lo tolgono quando piove a catinelle.
La cornice di Breda è inappuntabile. Valgano le citazioni di Carlo Esposito di Giuseppe Ugo Rescigno e di altri ancora. Spiega perché la fisarmonica del Quirinale, secondo l'indovinata metafora di Giuliano Amato, si restringe o si allarga.
Ma a ingolosire sono soprattutto i retroscena e le storielle raccontati da par suo da Breda. Imperdibile la telefonata di Cossiga alle 6 del mattino. Vuole sapere se il Corriere ha montato a regola d'arte l'intervista che Breda gli aveva fatto il giorno prima. Ma a quell'ora Breda non ha ancora sotto mano il giornale. Signore com'è, non lo manda al diavolo. S'infila le pantofole, si mette qualcosa indosso, va nello studio, accende il computer e legge le sue domande e le risposte del Picconatore. Che, soddisfatto, si frega le mani. Un modo come un altro per dargli un bel trenta e lode. Una medaglia.
Oscar Luigi Scalfaro ne fa una grossa. Per non comparire di persona, incarica il fedele Tanino Scelta di informare la direzione del Corriere che Breda non è gradito perché ha avuto la colpa di «coprire» il settennato di Cossiga. E il direttore, onore al merito, fa spallucce. Scalfaro, da uomo del Parlamento si trasforma in un presidenzialista senza se e senza ma, al punto di sciogliere le Camere nel 1994 motu proprio. Cose da far rizzare i capelli.
Carlo Azeglio Ciampi è sì un «pacificatore nazionale» ma è percepito anche come «presidente di opposizione». Di Napolitano, è Breda a sottolinearlo, ce ne sono ben due. L'uno dice e l'altro si contraddice. Su tutto: sull'invasione dell'Ungheria, sulle foibe, sulla contestazione giovanile, perfino sulla Resistenza. Della quale non nasconde le zone d'ombra. Nella nomina dei senatori a vita non ha la mano felice. Implorato per il bis, nel suo messaggio d'insediamento del 2013 più fustiga i suoi elettori e più costoro si spellano le mani per gli applausi. Una seduta sadomasochistica. Una presidenza in chiaroscuro.
Dulcis in fundo, Mattarella. Del dodicesimo presidente Breda scrive: «Ha tenuto a battesimo governi fondati su maggioranze fragilissime e di opposto segno, gialloverdi e giallorosse, pur di assicurare la tenuta di un paese entrato anche in una crisi di rappresentanza». Né manca qualche pennellata sui predecessori.
Per esempio su Giovanni Gronchi, al quale il Quirinale sta stretto e si sente un leone in gabbia. Quella gabbia della presidenza di Montecitorio nella quale Alcide De Gasperi lo aveva rinchiuso nel 1948 perché lo considerava una fastidiosa mosca tze-tze. Ma lui la utilizzò come pedana di lancio per il Colle.
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