Rewind. Riavvolgiamo il nastro. Perché c'è stato un tempo in cui per il Pd il salario minimo era un falso problema. La proposta, cavalcata anche in passato dal M5s, era nient'altro che uno slogan per ingenui. Un paravento. Uno specchietto per le allodole da volgari populisti. Il giorno dopo la battaglia nell'Aula di Montecitorio sul rinvio del voto della proposta unitaria di grillini (il primo firmatario è il leader grillino Giuseppe Conte), Pd, Azione e Verdi-Sinistra sul salario minimo legale a nove euro l'ora, è opportuno tornare indietro di qualche anno per capire come la pensavano i dem su quella che ora considerano una battaglia imprescindibile. Una lotta all'ultimo respiro. Da portare avanti a suon di mobilitazioni e raccolte firme, annunciate ieri dalla segretaria del Pd Elly Schlein.
Uno scenario totalmente diverso rispetto ai distinguo e agli attacchi lanciati all'indirizzo dei Cinque Stelle. Da parte di renziani e riformisti, certo. Ma anche da esponenti autorevoli della sinistra dem come gli ex ministri del Lavoro Cesare Damiano e Andrea Orlando.
Lecito cambiare idea. Ma i toni barricaderi che abbiamo visto alla Camera sono la spia di un malessere più grande, di un Pd che somiglia sempre di più ai Cinque Stelle. E infatti i dem ora difendono perfino il Reddito di cittadinanza, dopo averne detto peste e corna per anni. Una mutazione che ha coinvolto anche il sindacato di sinistra della Cgil. Anche Maurizio Landini considerava il salario minimo un dettaglio rispetto al rafforzamento della contrattazione collettiva. Ma partiamo da Damiano. Ex sindacalista Fiom e Cgil, già responsabile Lavoro del Pd, ministro del Lavoro nel secondo governo guidato da Romano Prodi. Un curriculum tutto a sinistra, per uno dei principali detrattori del salario minimo in salsa Cinque Stelle.
Ecco Damiano a L'Aria che Tira su La7 il 20 giugno 2019: «Nove euro lordi all'ora rappresentano uno standard di salario minimo di base troppo alto». L'ex parlamentare, ancora iscritto al Pd, dopo quattro giorni fa un'intervista a Repubblica per ribadire il concetto: «La proposta del M5s è un rischio per la contrattazione». Nel 2006, addirittura, Cgil, Cisl e Uil bocciavano una parziale apertura dell'allora ministro Damiano.
Già all'epoca la triplice sindacale considerava il salario minimo una proposta «distruttiva della contrattazione». Considerazioni ribadite negli anni dall'attuale segretario della Cgil Maurizio Landini. 30 aprile 2019, intervista a Repubblica: «Il nostro non è un no a un salario minimo. Noi diciamo che i contratti nazionali di lavoro, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali rappresentative, vanno applicati a tutti i lavoratori. Serve una legge sulla rappresentanza». Di fronte alla piroetta del Pd pure Landini sembra disorientato. E nelle ultime dichiarazioni dà un colpo al cerchio e uno alla botte. «Va bene il salario minimo, ma con una legge sulla rappresentanza», è l'ultimo equilibrismo di Landini. 5 Ottobre 2021, Otto e Mezzo su La7, l'allora ministro del Lavoro Andrea Orlando è categorico: «L'introduzione del salario minimo indebolisce i lavoratori, non li rafforza». Ora Orlando, sostenitore di Schlein al congresso, ha cambiato idea, pur ribadendo la necessità di «legare il salario minimo alla contrattazione».
Ai tempi del governo gialloverde, il Pd di Nicola Zingaretti bollava la proposta grillina come «propaganda». Sul tema Zingaretti duellava con l'allora capo politico dei Cinque Stelle Luigi Di Maio e studiava idee «per spiazzare il M5s». Poi è arrivata l'egemonia culturale di Conte.
I dem hanno abbracciato perfino il reddito di cittadinanza. E pensare che per Zingaretti il sussidio era «una pagliacciata». Mentre per il fedelissimo di Schlein Francesco Boccia, nel novembre 2019 il Rdc era «una sciocchezza». Ha vinto Beppe Grillo.
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