Quei 500mila italiani in pensione da 36 anni

I dati dell'Inps mettono sotto i riflettori i lavoratori a riposo dal 1980: altri assegni pesanti calcolati con il retributivo. Rischiano la sforbiciata insieme ai trattamenti di reversibilità

Quei 500mila italiani in pensione da 36 anni

Il governo che dice di dover combattere contro i poteri forti è ripartito all'attacco dei poteri deboli: i pensionati. Un bersaglio facile da inquadrare - perché quando gira male gli si butta addosso la responsabilità del dissesto dei conti pubblici - ma pure complicato perché per toccare le pensioni occorre fare o cambiare leggi, non basta infilare un emendamento come quello Guidi-Boschi sulle trivellazioni petrolifere di famiglia in Basilicata. Occorre un lavorio ai fianchi dei pensionati stessi e della pubblica opinione, una lunga campagna mediatica per convincere che è necessario intervenire. Si tenta di individuare l'obiettivo adeguato: una volta gli assegni di invalidità, un'altra la reversibilità, un'altra ancora si aumentano le tasse sui fondi pensione. Oppure si piazza Elsa Fornero come ministro del Lavoro.Ieri è stato il turno dei pensionati di lungo corso. Gente che ha potuto sfruttare leggi del passato che consentivano di lasciare l'impiego in età relativamente giovane, magari per aver cominciato a lavorare appena finita la scuola dell'obbligo. Ma anche ex operai che dietro di sé hanno un'occupazione usurante che li ha obbligati a smettere prima, o anziani che, per loro fortuna, vivono fino a età un tempo impensabili. Tutte persone che sono uscite dal mondo produttivo in base a finestre aperte dalla legge. Ma oggi diventano una sorta di profittatori, gente colpevole di campare troppo a lungo e sulle spalle del sempre più esiguo e spremuto contingente di lavoratori in attività.L'Inps ha fatto sapere che in Italia oltre 474mila pensioni sono state liquidate prima del 1980: i relativi titolari, dunque, vivono di rendita da 36 anni e per di più dopo aver lavorato sicuramente meno. I dati sono presi dalle tabelle sugli assegni di vecchiaia e di anzianità e ai superstiti del settore privato (cioè la reversibilità): sono perciò escluse le pensioni di invalidità previdenziale e civile, quelle sociali al minimo e i trattamenti degli ex dipendenti pubblici. Di conseguenza non sono conteggiati neppure i cosiddetti «baby pensionati», cioè le impiegate del pubblico impiego sposate con figli che fino al 1992 potevano congedarsi con un'anzianità di 14 anni, 6 mesi e 1 giorno di contributi.L'età media da cui le pensioni hanno iniziato a decorrere è molto inferiore all'attuale: quasi 56 anni per gli assegni di vecchiaia e poco più di 41 per quelle ai superstiti. Nel 2015 le pensioni di anzianità liquidate sono state 238.400 con un'età di decorrenza di 62 anni e mezzo. Nel settore privato supera gli 800mila il numero di pensionati in quiescenza da oltre 30 anni (decorrenza antecedente il 1986) cui si aggiungono altri 527mila assegni di reversibilità.L'effetto mediatico di questi numeri è evidente: sono troppi. Anche perché si tratta di pensioni «pesanti», calcolate con il metodo retributivo basato sugli ultimi stipendi e non sull'ammontare dei contributi effettivamente versati. E la notizia, guarda caso, è uscita di domenica, il giorno successivo alle manifestazioni delle confederazioni che hanno protestato contro la riforma Fornero. Proteste liquidate sbrigativamente da Matteo Renzi: «Ha fatto più Marchionne di certi sindacalisti», ha detto il premier.

Tuttavia le riforme allo studio dell'esecutivo vanno nella stessa direzione: abbreviare l'età lavorativa, favorire il pensionamento anticipato a prezzo di un taglio sull'importo dell'assegno. «Il governo ci sta lavorando ha confermato il sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta i tempi sono quelli della legge di Stabilità». Cioè fine 2016.

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