Quei banchi 5s vuoti. Scoppia la rivolta sul caso Petrocelli. Totale assenti: 350

Il presidente della commissione Esteri del Senato: non voto più Draghi. Conte: è fuori

Quei banchi 5s vuoti. Scoppia la rivolta sul caso Petrocelli. Totale assenti: 350

Applausi convinti, con tanto di doppia standing ovation da parte di esponenti del governo, senatori e deputati. Una seduta sobria, rapida, solenne, sia pure senza dibattito. Le presenze qualificate di tutti i leader e di tutti i ministri, con la sola eccezione di Giancarlo Giorgetti, impegnato in una visita allo stabilimento della Ferrari a Maranello. Tante mascherine, nastrini blu o giacche gialle, per richiamare i colori della bandiera ucraina. Il colpo d'occhio, però, non è certo quello delle grandi occasioni. E il terzo anello, quello immediatamente sotto le tribune, dove si trova il Gruppo Misto, Alternativa c'è (composto da grillini fuoriusciti) e i Cinquestelle mostra vuoti evidenti. Complice la convocazione di martedì mattina, senza votazioni in calendario, sui 945 potenziali presenti si calcolano circa 350 assenze un po' in tutti i gruppi. Un numero determinato anche da una calendarizzazione che ha favorito la permanenza sul territorio per motivi logistici, missioni, congedi o maternità.

«Vengo, non vengo ad ascoltare Zelensky. Indecoroso balletto. Disonorevole scelta», sentenzia su Twitter Enrico Letta. Duro il portavoce dell'Udc, Antonio Saccone: «Un comportamento indegno quello di alcuni parlamentari che si rifiutano di ascoltare il premier di un Paese sotto i bombardamenti rivolti contro civili, donne e bambini». «Ne renderanno conto ai loro elettori» commenta Emma Bonino. E Matteo Richetti, di Azione, ironizza amaro: «Vi vedo tutti molto preoccupati di chi manca in aula. Dovreste preoccuparvi del fatto che sono in aula i restanti giorni dell'anno».

Al netto dell'applauso corale, non mancano i distinguo, che siano urlati o sussurrati. Il caso più eclatante è quello del presidente della commissione Affari esteri del Senato, Vito Petrocelli, del Movimento Cinquestelle, che invita a «stare fuori da questo governo interventista, che vuole fare dell'Italia un Paese co-belligerante» e annuncia che non voterà più la fiducia all'esecutivo. «Considero la posizione italiana, che vuole mandare armi a una delle due parti in conflitto contraria alla Costituzione e al ruolo che l'Italia dovrebbe avere come mediatore credibile». La replica di Giuseppe Conte preannuncia una sua espulsione: «Se lui dichiara questo oggi, a dispetto del ruolo che ha avuto sin qui in commissione, evidentemente si pone fuori da M5s, per scelta personale. Petrocelli fraintende la nostra linea. Non si può essere a metà strada in un conflitto del genere». E da quasi tutti i partiti arriva la richiesta di dimettersi dalla presidenza della Commissione Esteri, richiesta rispedita al mittente da Petrocelli.

Di certo all'interno dei Cinquestelle serpeggiano dubbi e malumori sull'ordine del giorno votato alla Camera e di cui al Senato potrebbe essere chiesta la modifica. Conte infatti ritiene che non sia opportuno stanziare altre risorse e sia necessario concentrarsi su altre priorità. Una linea che non tutti condividono dentro i Cinquestelle dove c'è anche un'ala più atlantista vicino a Luigi Di Maio e che suscita fibrillazioni anche tra gli alleati del Pd, stufi delle continue oscillazioni dell'alleato. Lo stesso Salvini quando dice che «stenta ad applaudire quanto si parla di armi» porta allo scoperto qualche malumore che serpeggia dentro il suo movimento, malumore rafforzato dal riferimento del nostro premier a possibili forniture belliche all'Ucraina. Così come Claudio Borghi fa notare che Mario Draghi parlando espressamente di adesione dell'Ucraina all'Unione Europea si è spinto oltre il mandato che gli era stato concesso.

La posizione di Alternativa c'è e dei suoi 17 parlamentari è quella annunciata: «Non ci siamo perché si tratta solo e soltanto di un'operazione di marketing che non serve a far cessare le ostilità e non ha alcuna utilità per la parte offesa». Un'altra componente che si tira fuori è Italexit, il gruppo di ex M5S guidato da Gianluigi Paragone e composto da altri tre senatori William De Vecchis, Mario Giarrusso e Carlo Martelli.

E naturalmente manca il leghista Vito Comencini, volato in Russia per recarsi in Donbass. Stonature e dissonanze in uno spartito che Zelensky con un discorso potente ma equilibrato riesce a stemperare e a ricondurre a una apparente unità.

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