Anni complicati, anni di trattative. Vere o presunte, raccontate nei processi o sussurrate, suggerite, appuntate su papelli o negate. La trattativa Stato-mafia, con le istituzioni pronte a parlare con Cosa nostra per fermare il sangue dietro concessioni, è una, nessuna e centomila. Non è certamente solo quella andata a processo con risultati altalenanti, tra le condanne agli ex comandanti del Ros Mario Mori e Antonio Subranni e all'ex senatore azzurro Marcello Dell'Utri, l'assoluzione per l'ex ministro Nicola Mancino e quella citata da Cirino Pomicino nell'intervista in questa pagina a Calogero Mannino, che pure secondo il teorema avrebbe dovuto essere tra i nomi istituzionali più in vista nello spendersi per far sparire il carcere duro per i mafiosi. La trattativa passa per quello che si sa ma anche per quello che si sospetta.
L'arresto di Riina che diventa uno scambio di favori, e anticipa di poco la «svolta» proposta dal Dap e accettata dall'ex ministro della Giustizia Conso per sgonfiare il 41 bis. L'elezione di Scalfaro che arriva, a sorpresa, sull'onda dell'emozione e della paura per la bomba di Capaci che uccide Falcone. I misteri sui nemici «interni» dello stesso Falcone e di Borsellino, eroi postumi e osteggiati in vita. L'incontro di quest'ultimo, Borsellino, proprio con l'ex titolare del Viminale, Nicola Mancino (che ha sempre negato la circostanza), in cui il magistrato avrebbe saputo dei canali di contatto aperti con Cosa nostra per fermare gli attentati, 18 giorni prima di finirne vittima lui stesso. Di certo, è curioso che tanti degli esponenti democristiani coinvolti sembrano appartenere alle correnti di sinistra del partito, anche se poi le indagini si concentrano solitamente altrove.
Ed è strano anche che tornino, ricorrenti, i ruoli di chi, come il superpoliziotto Bruno Contrada, quella trattativa, semmai, avevano forse provato a intercettarla, a capire a quale gioco si stava giocando. Pagando, carissimo, il prezzo del tentativo: Contrada viene arrestato a dicembre del 1992, pochi giorni prima dell'arresto di Totò Riina (autore del presunto papello con le richieste di Cosa nostra allo Stato), che sarebbe stato frutto, appunto, di una «trattativa», con il boss Bernardo Provenzano, considerato meno intransigente, e pronto a vendere il «padrino» ai suoi interlocutori istituzionali, prima che sparissero ministri sgraditi alla mafia, come l'istitutore del carcere duro dopo la strage di Capaci, Claudio Martelli.
E in una storia della quale si fa fatica a tirare i fili continuando a vederci una trama chiara, Contrada viene tirato ancora una volta in ballo dal giornalista Saverio Lodato.
Che racconta, solo oggi, che Falcone gli avrebbe fatto il suo nome parlando delle «menti raffinatissime» che si celavano dietro al fallito attentato all'Addaura al magistrato. Suscitando la reazione immediata del legale dell'ex poliziotto, riabilitato dopo quasi 30 anni di accuse e risarcito per la sua ingiusta detenzione.
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