Il boicottaggio?
«C'è, eccome». Giovanni Minoli, volto storico della tv italiana, risponde senza esitazioni: «La magistratura militante ha ancora una grande potere e lo si capisce dal silenzio che avvolge i cinque referendum sulla giustizia. Nessuno o quasi sa che domenica si va al voto, nessuno sa per che cosa si voterà».
Il quorum resta lontanissimo?
«Cosi direi che il quorum è irraggiungibile. Se non succede qualcosa, gli italiani perderanno un'occasione storica per cambiare».
Ma perché questo disinteresse?
«No, non è disinteresse, è un silenzio voluto da quella magistratura militante che toglie spazio ai tanti giudici silenziosi e operosi che fanno bene ma contano zero».
E che cosa vuole questa magistratura militante?
«Mantenere il sistema di potere, quello delle correnti descritto da Luca Palamara, il Buscetta dell'Anm, e lasciare tutto il carrozzone così come è. Nulla deve mutare perché loro rimangano saldamente al potere e il modo più semplice per tenere tutto fermo non è fronteggiare i quesiti referendari, ma ignorarli. Così tutti noi perderemo quella chance straordinaria di civilizzazione necessaria, perché questo sistema è una barbarie».
Ma che c'entra la magistratura con il sistema dei media? Con la Rai e le tv?
«Diciamo che questo pensiero trova sponde nei partiti e nella tv di Stato che non è neutra. Formalmente le regole vengono rispettate, ma in sostanza il dibattito non c'è».
Censura?
«No, parliamo di meccanismi più raffinati. Non è che mettano un bavaglio ai promotori e impediscano loro di esporre le loro ragioni. No, la strategia è più sottile. Si fa il compitino. si presentano i referendum con schede burocratiche, noiosissime, incomprensibili. Invece la Rai e le altre tv dovrebbero spiegare che la giustizia è il primo cancro del Paese. Qui, fra pandemia e guerra, siamo affogati in un mare di guai».
I referendum sono arrivati nel momento sbagliato?
«Su questo non c'è dubbio. Ci sono state coincidenze davvero sfortunate. Ma si potrebbe recuperare, anzi si poteva perché il tempo ormai è esaurito».
D'accordo, ma come?
«Appunto sensibilizzando gli ascoltatori: se tu invece di parlare in astratto della custodia cautelare racconti la storia di un disgraziato che è andato in carcere per un clamoroso errore e magari è rimasto in cella mesi o anni, allora il tema diventa importantissimo, seguitissimo, popolare».
Non c'è appeal?
«No, l'appeal c'è, ma con questi servizi piatti, lontani dalla vita quotidiana, non si va da nessuna parte, tantomeno si raggiunge il quorum. Ci vogliono, o meglio ci vorrebbero i casi veri, quelli che tutti conosciamo: il processo che dura 10 0 12 anni, l'innocente in cella, il criminale che esce subito, il pm che va a braccetto con il giudice e l'avvocato che non viene considerato. Ma ormai temo sia tardi».
Una volta la giustizia era sempre in prima pagina.
«C'era Berlusconi e il Paese era spaccato come una mela: contro i giudici o dalla loro parte. Oggi tutto questo non c'è più, ma il problema non è stato risolto. La giustizia non funziona, i pm hanno sempre un potere spropositato, onori senza oneri, i dibattimenti si trascinano, le correnti spadroneggiano e il Csm, decimato dalle dimissioni dei suoi membri nominati con il metodo Palamara, va avanti imperterrito».
Possibile che non si riesca a bucare questo silenzio?
«Gli italiani sono angosciati dalle bollette e si arrangiano quando fanno la spesa. Così trascurano la giustizia che fa acqua e che, ripeto, è la prima malattia del Paese. Un sistema così arretrato blocca fra l'altro lo sviluppo perché tutto è incerto e non ha senso attendere di essere morto per avere ragione. Le multinazionali investono altrove. Ma questo accade tutti i giorni e la Rai se la cava con i compitini e le schede».
Lo sciopero della fame del vicepresidente del Senato Roberto Calderoli ha smosso le acque?
«Purtroppo direi di no. Il sistema dei media, con qualche lodevole eccezione, continua a non accendere i riflettori sui quesiti».
Game over? Insomma, il sogno delle riforme è svanito?
«Siamo a un passo dalla sconfitta, ma c'è ancora una mossa possibile che potrebbe cambiare la partita.
Ci vorrebbe un intervento, anzi un appello del presidente Mattarella. Io spero che Mattarella inviti gli italiani a intervento, andare a votare domenica e allo stesso sproni i media a non spegnere la luce sulle inefficienze e i ritardi drammatici della nostra giustizia».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.