Quell'autogol da cui ripartire

Il Governatore di Bankitalia Visco è tornato a criticare quelle imprese italiane che all'apertura dei mercati e alle sfide tecnologiche degli anni 90 hanno risposto abbassando i costi del lavoro e di produzione, invece di fare investimenti

Quell'autogol da cui ripartire

Il Governatore di Bankitalia Visco è tornato a criticare quelle imprese italiane che all'apertura dei mercati e alle sfide tecnologiche degli anni 90 hanno risposto abbassando i costi del lavoro e di produzione, invece di fare investimenti. Così siamo meno produttivi dei Paesi industrializzati e meno competitivi di quelli emergenti sul costo della manodopera.

Critica fondata ma ingiusto addossarla solo alle imprese: l'intero Sistema Paese ha accompagnato questa strategia. Il fardello del debito impediva di sostenere investimenti pubblici adeguati. Un sistema scolastico e formativo centrato sugli addetti e non sugli studenti sfornava pochi laureati in discipline scientifiche e poca ricerca. Un sindacato forte e protetto teneva il Paese arroccato sulla manifattura ad alta intensità di manodopera. Ritardi gravi sulle infrastrutture digitali scoraggiavano cittadini e imprese dall'adozione di nuove tecnologie. La globalizzazione favoriva le delocalizzazioni. Tradotta nella realtà dei mercati, questa non-politica economica ha generato la cultura del low cost, che da anni da queste colonne viene additata come circolo vizioso. Prodotti e servizi che costano poco abituano i consumatori ad avere di più con meno sforzo, ma la loro produzione impone anche di pagare il meno possibile le persone, che daranno in cambio una qualità mediocre e a loro volta chiederanno di spendere meno.

Fin qui la storia, che ci lascia un tessuto imprenditoriale arretrato rispetto alle altre economie occidentali. Ora però si prospetta un futuro nuovo, fatto di blocchi al posto del villaggio globale, dove la politica e la sicurezza reclamano le loro ragioni prima e sopra quelle dell'economia. Prima Trump con la guerra dei dazi, che celava la protezione delle tecnologie digitali più sofisticate, essenziali per la sicurezza militare. Ne fummo infastiditi perché non volevamo fare a meno della fabbrica cinese. La pandemia ha rotto le catene di fornitura e ci ha fatto più male, ma ci siamo illusi che fosse uno shock temporaneo. Ora siamo in guerra e la combattiamo con le sanzioni, però dopo verrà la pace e quella sì sarà davvero dura. Giochiamo nella squadra occidentale e solo in quella, forti della nostra cultura socioeconomica, che gli altri sottovalutano, e della tecnologia: i 40 miliardi destinati alla digitalizzazione saranno la parte chiave del Pnrr.

Certo dovremo stanare gli imboscati del lavoro e imbracciare le armi dell'impegno e dell'ingegno, ma se una qualità ci distingue è la capacità di adattarci. I sacrifici verranno e non per vivere alla francescana, tipo low cost, ma per lavorare e produrre di più, puntando a vivere meglio. L'abbiamo già fatto, 70 e 60 anni fa. Possiamo rifarlo. Lo rifaremo.

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