Le buone intenzioni non di rado producono disastri ed è questo il caso della decisione del Parlamento europeo di procedere verso l'abolizione degli stage gratuiti. L'obiettivo è quello di migliorare le condizioni di quanti sono in cerca di un'occupazione e vogliono costruirsi un futuro lavorativo, ma la strada seguita è del tutto irragionevole. Il primo vero effetto è che per i ventenni e i trentenni sarà molto più difficile entrare nel mondo del lavoro. Dovendo obbligatoriamente retribuire persone con limitate conoscenze e nessuna esperienza, tante aziende lasceranno perdere e questa non è una buona notizia. Anche senza volerlo si finisce per danneggiare ulteriormente generazioni che sono già tanto penalizzate.
Chi abbia qualche minimo rudimento di economia conosce la nozione introdotta più di mezzo secolo fa da Gary Becker di «capitale umano»: un termine che indica l'insieme delle competenze e conoscenze possedute. Chi è giovane, lavora e non riceve un soldo, allora, nei fatti è in qualche modo compensato dalla possibilità di imparare e anche aggiungere una riga al proprio curriculum.
D'altra parte, per quale motivo oggi c'è chi accetta stage gratuiti? Pochi sembrano avvedersi che quando due soggetti si accordano senza essere costretti, è evidente che quella relazione è apprezzata da entrambi. È chiaro che l'azienda ha interesse ad avere lavoratori alle prime armi (che in seguito potrebbe anche assumere) e che il giovane trova opportuno iniziare a fare qualcosa.
La volontà di regolare ancor più di quanto non lo sia già l'accesso al lavoro finisce per comprimere ulteriormente l'autonomia negoziale, che è una parte fondamentale della libertà umana. In sostanza, siamo sempre meno indipendenti e disponiamo sempre meno di noi stessi, dato che politici e burocrati gestiscono la nostra vita. Ne deriva che, quasi senza avvedersene, i demagoghi di ogni colore violentano i principi fondamentali del diritto, dell'economia e del buonsenso con la scusa che si dovrebbero trovare facili scorciatoie per i maggiori problemi del nostro tempo.
È sicuramente vero che, dopo decenni di politiche stataliste, i giovani del terzo millennio sono in una situazione difficile: molto peggiore di quella conosciuta da quanti in Italia entrarono
nel mondo del lavoro dopo il boom economico, che dopo la guerra fu favorito da bassa tassazione e limitata regolazione. Lo statalismo ha creato loro enormi difficoltà: non sarà certo quel medesimo statalismo ad aiutarli.
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