
Non solo Cav. Anzi. A scorrere le sentenze della Corte europea dei Diritti dell'Uomo contro l'Italia, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Solo negli ultimi 12 anni, dal 2010 a oggi, il nostro Paese è stato «condannato» ben 410 volte, con una media di 34 sentenze l'anno, e la cifra sale a 483 condanne considerando gli ultimi 20 anni. Tutte le decisioni della Cedu sono state diligentemente tradotte e messe online dal ministero della Giustizia, non per voglia di mettersi da soli alla berlina, bensì come parte degli obblighi «di attuare le misure necessarie ad adempiere le sentenze di condanna», spiega sempre il sito web del dicastero di via Arenula.
E dopo quello della consistenza numerica, l'altro dato che salta all'occhio è quello dei diritti violati, che vede la giustizia o meglio, la malagiustizia nostrana fare la parte del leone, con il tribunale di Strasburgo chiamato con inquietante frequenza a bacchettare l'Italia per le sue mancanze. Quasi la metà di tutte le condanne ricevute dal nostro Paese, infatti, riguarda la violazione del diritto a un equo processo, con ben 226 pronunce derivanti dal mancato rispetto dell'articolo 6 della convenzione europea dei diritti dell'uomo da parte del potere giudiziario italiano. In buona parte, si tratta di violazione della ragionevole durata del processo, male che innesca circa il 90 per cento di tutto il contenzioso Cedu che ci riguarda. E oltre all'equo processo, l'Italia (e il nostro sistema giustizia) è stata condannata anche per violazione della proibizione della tortura (76 sentenze), del diritto a un ricorso effettivo (50 condanne), del diritto a libertà e sicurezza (21), del rispetto alla vita privata-familiare (116 sentenze contro l'Italia) e pure del diritto alla vita, in 29 occasioni. Ma la sentenza probabilmente più celebre tra le condanne ricevute dal nostro Paese riguarda invece l'articolo 7 della convenzione, il principio nulla poena sine lege, ossia la condanna per un fatto che non costituiva reato quando è stato commesso, che ha visto la Cedu bacchettare l'Italia «appena» 12 volte dal 2002 a oggi. Ed è per la violazione di questo principio che la Corte di Strasburgo sanzionò l'Italia nella primavera del 2015, ritenendo che l'ex funzionario del Sisde Bruno Contrada non avrebbe dovuto essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa perché al momento dei fatti contestati, avvenuti tra 1979 e 1988, il concorso esterno non era «sufficientemente chiaro e il ricorrente non poteva conoscere nello specifico la pena in cui incorreva per la responsabilità penale che discendeva dagli atti compiuti».
Contrada da quella sentenza ricevette solo 10mila euro di rimborso per i danni morali, ma ottenne soddisfazione dopo la sua interminabile odissea giudiziaria: due anni dopo la Cassazione revocò la sua condanna, passata in giudicato. E ad aprile dell'anno scorso l'ex numero due del Sisde ha ricevuto 670mila euro di risarcimento per la sua ingiusta detenzione avendo trascorso 8 anni tra carcere e domiciliari - dalla Corte d'Appello di Palermo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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