È stato in quella sera di fine novembre che abbiamo capito tutto. A Torino c'era la prima del docu-film prodotto da Rai-cinema, regista Marco Ponti, dal titolo La Bella Stagione, dedicato alla splendida cavalcata tricolore della Samp di Mantovani e Boskov raccontata fino all'epilogo di Londra, finale Champions league con il Barcellona, persa poi ai supplementari. «Se sbagli due-tre gol davanti alla porta, è fatale che poi si perda» racconterà l'interessato senza tradire un minuscolo rimpianto. «Bravo, te poi l'hai vinta la Champions» la battuta pronta del suo sodale di una vita, Roberto Mancini. È stata l'ultima apparizione pubblica di Gianluca Vialli, «il bomber» come in quel film si presenta. Maglione dolcevita bianco spuntato fuori da un cappotto spigato che ballava sulle spalle, Gianluca si è presentato scortato da quattro co-protagonisti della proiezione e della scapigliata gioventù doriana vissuta tra il mare di Nervi, un ristorante covo e lo stadio di Marassi. C'erano con lui Mancini e Bonetti, Lanna e Vierchowod. Hanno lasciato a Gianluca la postazione centrale e il ruolo di autentico regista della presentazione alla stampa. Ai tanti quesiti e alle cento curiosità dei giornalisti, ha quasi sempre risposto lui, Vialli, con il viso scavato. Nemmeno i ricordi piacevoli di una carriera strepitosa rivissuta nelle immagini suggestive del docu-film, gli hanno addolcito lo sguardo.
Di quella sera al teatro torinese dove ha incrociato tantissimi esponenti della sua militanza juventina, Ciro Ferrara e Pessotto, il presidente federale Gabriele Gravina, Vialli è apparso una sorta di speaker distaccato da se stesso e anche dalla sua maledetta malattia, quasi avesse capito in anticipo rispetto a noi, che pure lo guadavamo con angoscia assottigliarsi rispetto alla sagoma ammirata durante l'europeo, quale sarebbe stata la drammatica conclusione di quel racconto.
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