Questo assassinio cambierà il destino del Medio Oriente

Questo assassinio cambierà il destino del Medio Oriente

L'assassinio di Jamal Khashoggi in Turchia il 2 di ottobre, come in una tragedia Shakespeariana, ha i colori del destino: ha protagonisti fiammeggianti e avversi l'uno all'altro fino alla morte, errori, vantaggi, immense conseguenze psicologiche e politiche. In una parola, può cambiare il destino del Medio Oriente, e paradossalmente nella direzione che il povero assassinato, vittima di tanta crudeltà, avrebbe desiderato. Difficile capire come i sauditi, in particolare il riformista principe della corona Mohammed bin Salman, abbiano potuto fare un errore stratosferico come eliminare il nemico sul territorio a loro più ostile, quello di una Turchia che di fatto è alla pari dell'Iran è contro il reame sunnita. L'Iran, perché è sciita, e la Turchia (che di fatto in un empito improbabile di passione per i diritti umani, è alla testa delle accuse all'Arabia Saudita), leader del mondo legato alla Fratellanza Musulmana, sono stati avvantaggiati dall'eliminazione del nemico di bin Salman. Erdogan ieri ha ricevuto un primo segnale di mutamento di rotta americano nelle calde, anzi vibranti, parole di ringraziamento per aver liberato, dopo due anni di crudele reclusione, il pastore americano Andrew Burnson. Nel passato l'Arabia Saudita, che non è una organizzazione benefica, e anzi è un leader nella violazione dei diritti umani, era già stata mostrata a dito per sparizioni, rapimenti, incursioni all'estero, e i sauditi sono in larga compagnia per supposti delitti e sparizioni: ma gente che scompare durante viaggi in plaghe lontane, aerei che si perdono, personaggi che vengono drogati e rapiti, non è la stessa cosa di un giornalista del Washington Post, anche se era stato, si legge, amico della famiglia di Bin Laden, anche se la sua simpatia per la Fratellanza Musulmana era estrema nonostante la sua intima commistione col suo regime, anche se in parallelo era visto come un confidente degli americani. Un personaggio complicato, ma certo non meritevole di quella orrida fine. E niente spiega come i sauditi abbiano potuto infilarsi in un guaio che fa deviare l'America da un'amicizia speciale, colonna di un disegno strategico. Essa era andata a diretto detrimento del rapporto con i due nemici dei sauditi, gli iraniani e i turchi, e adesso in Israele ci si chiede cosa può succedere se l'asse delle alleanze si sposta: per esempio se ne avvantaggia il Qatar, fin'ora messo al bando dai sauditi, amico di Hamas e anzi suo fornitore di beni, benzina, danaro insieme all'Iran.

I sauditi, insieme agli egiziani e ai giordani, hanno costituito una sorta di barriera contro l'espansione in Medio Oriente del fronte iraniano e di quello turco, tanto che non hanno mai aderito alla guerra contro i curdi che è una specie di lasciapassare presso Erdogan. Adesso le cose sono destinate a spostarsi, e anche il piano di Jarret Kushner per una pace fra Israele e i Palestinesi fortemente voluta da partner regionali si indebolisce alquanto. Israele certo non gioisce dell'eventuale spostamento strategico, la Turchia gli è opposta, l'Iran lo vuole distruggere. Questo, mentre Hamas cerca in questi giorni di sfondare il confine con esplosivo, migliaia di guerriglieri armati, l'esercito israeliano schierato in sofferenza, immobile sul bordo, con l'ordine di sparare solo in casi estremi dato che Hamas manda ragazzi e donne in prima fila.

Così Netanyahu, che ha mostrato di volere evitare la guerra, adesso sembra raccogliere un senso di esasperazione fra le volute nere dei campi incendiati. E ha lanciato ieri una specie di ultimo appello: vi abbiamo rifornito di benzina e beni di consumo, ora basta, ha detto, smettete di aggredire, o vi faremo smettere in modo che farà male, molto male.

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