Qui e ora; l'urlo di Noa che nessuno ha ascoltato

Qui e ora; l'urlo di Noa che nessuno ha ascoltato

P er Noa Pothoven, la diciassettenne che si è lasciata morire di fame e di sete, dopo giorni in cui si è detto tutto e il contrario di tutto, da più parti è giunta la richiesta di fare silenzio.

L'uso del raccoglimento silenzioso nacque per ricordare le morti tragiche dei soldati al fronte per cui non c'era possibilità di salvezza, ma che avevano rinunciato valorosamente alla vita in nome dell'amore per la patria. Nella morte di questa ragazzina, ancora minorenne, non c'è invece nulla da celebrare. Al posto del silenzio si dovrebbe avvertire il bisogno di urlare che era lecito obbligarla ancora a rimandare il suo intento di morire, andando contro la sua troppo acerba volontà.

Noa non si è suicidata da sola perché a darle sostegno c'erano oltre ad una equipe di medici, con le cure palliative, la sua stessa famiglia. Invece di opporsi alla decisione l'hanno facilitata facendole pensare che anche per loro nulla fosse più possibile, le hanno fornito quel coraggio necessario che le mancava per farlo da sola. Scrivere un libro sul proprio dolore e raccontarlo su Instagram come ha fatto prima di lasciarsi morire sono palesi richieste di attenzione.

Chi vuole suicidarsi non lancia messaggi di disperazione perché quello che vuole non è il conforto di chi gli dirà di resistere perché prima o poi le cose si aggiusteranno. Chi vuole riuscire nel suo intento mortifero lo programma da solo per evitare interferenze. Noa aveva un disturbo mentale e tra i sintomi l'anoressia. Usava il corpo per parlare della sua sofferenza che ha controllato fino alla fine attraverso l'astinenza da cibo e acqua, come per dire di potercela fare anche da sola, senza nutrimento e senza l'empatia che gli altri non le hanno saputo garantire. I pazienti con un disturbo mentale molto spesso perdono la speranza che la loro condizione possa cambiare e senza speranza la vita perde di senso. Scrivere un libro e confrontandosi con gli altri sui social network erano modi per continuare a cercare un contatto con la realtà, un senso a quello che le era capitato con il desiderio esplicito di superarlo.

Le sarebbe bastato avere accanto qualcuno in grado di nutrire la speranza al posto suo, non assecondando la sua resa e facendole sentire che

la sua vita nonostante il dolore era ancora la cosa che desiderava di più. Una madre, un'amica, un compagno che le dicesse che aveva un motivo solido per vivere perché senza di lei neanche lui sarebbe potuto sopravvivere.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica