Il Quirinale esclude il voto anticipato prima del referendum

Il referendum complica la via del ritorno alle urne: si potrebbe votare in autunno, ma ci sarebbe nuovamente l'ombra della legge di Stabilità

Sergio Mattarella
Sergio Mattarella

Ritorno anticipato al voto in caso di caduta del governo: questa l'unica ipotesi meditata dal Quirinale fino a poche settimane fa. I piani però si sono complicati a causa del referendum sul taglio dei parlamentari che ha cambiato gli scenari. Dopo aver sperimentato tutte le possibili maggioranze in Parlamento, la via maestra delle urne era quella più praticabile. Ma ora sorge una domanda spontanea: cosa succederebbe se l'esecutivo non dovesse essere in grado di subire un eventuale urto delle elezioni in Emilia-Romagna? Come riportato dall'edizione odierna de La Repubblica, dal Colle fanno sapere: "Dipenderà da quel che succederà in Parlamento". Anche perché il centrodestra in maniera compatta ha avvertito che, in caso di vittoria, chiederà immediatamente il voto anticipato.

I possibili scenari

Una prima complicanza è legata al possibile (e quasi scontato) esito del referendum: eventualmente la riforma diverrebbe applicabile solamente 60 giorni dopo, al fine di consentire al legislatore di ridisegnare i collegi del Rosatellum o di varare una nuova legge elettorale adeguata a un Parlamento di 600 seggi. Nella migliore delle ipotesi si arriverebbe a maggio: a quel punto il presidente della Repubblica potrebbe decidere di sciogliere il Parlamento, in un momento in cui non ci sarebbero particolari pericoli per il Paese. Tuttavia va considerato che tra lo scioglimento delle Camere e il voto devono trascorrere altri 60 giorni. Difficile prevedere un ritorno alle urne a metà luglio. Quasi impossibile.

Perciò un'ipotesi possibile è quella di dare la parola agli italiani in autunno, ma a quel punto si ripresenterebbe la medesima situazione dello scorso anno, quando il capo dello Stato aveva deciso di trovare altre maggioranze possibili perché stava incombendo la legge di Stabilità. In tal modo Movimento 5 Stelle e Partito democratico avevano messo su un matrimonio improbabile e surreale.

Un altro scenario vedrebbe sciogliere le Camere subito dopo il referendum, ovvero a fine marzo, per dare vita a un governo di garanzia o istituzionale. Nel frattempo però i giallorossi non hanno alcuna intenzione di tornare a casa qualora la storica roccaforte rossa dovesse cadere, così come ha confermato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: "Il voto in Emilia-Romagna è importante, ma rimane espressione di una comunità regionale e non decide il destino del governo nazionale".

Intanto lo stesso premier pochi giorni fa ha annullato il viaggio a Davos, dove si è tenuto il Forum economico mondiale, per degli importanti impegni che lo hanno obbligato a restare a Roma. C'è sempre l'ombra di uno scossone, soprattutto dopo le dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico. Infine c'è da considerare anche la volontà di Matteo Renzi di proporre Dario Franceschini alla guida di un nuovo governo.

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