Per essere «un anno bellissimo», così come pronosticato dall'ardito premier Giuseppe Conte, questo 2019 va nient'affatto male. Recessione, calo delle stime di crescita, sostegno a Maduro in Venezuela, guerra diplomatica con la Francia. Ciliegina sulla torta di questi primi «formidabili» due mesi, l'irrituale richiesta di «azzeramento» dei vertici Bankitalia. Più che irrituale, richiesta «incredibile» proprio in virtù della sua «irricevibilità», considerato l'ambito di indipendenza assegnato ex lege alla Banca centrale. Certo: ogni legge si può cambiare, eppure resta la volontà manifesta (meglio: mediatica) dello «strappo», se non proprio della «spallata». Una situazione di imbarazzo che investe direttamente il Quirinale, ancora una volta chiamato a elaborare prudenti strategie di «disinnesco». Prive però, almeno per ora, delle due risorse impiegate con (alterna) fortuna fino a questo momento.
Si tratta di uno schema fisso: in prima battuta è Conte a dover mediare, specie quando i contrasti si registrano tra Salvini e Di Maio, o nei casi di stallo internazionale. Quando, come in questo caso, la coppia dei «vice» marcia compatta (per questioni elettorali e non), Conte però non ha più cartucce e difatti temporeggia. Afono e paralizzato. Sui temi economici tocca al ministro Giovanni Tria, come già accaduto sulla manovra nella lunga diatriba con l'Ue (alla fine il governo si è dovuto attestare sul deficit suggerito fin dall'inizio da Tria, ma come ebbe a dire lui a cose fatte, sorridendo sornione: «C'è un problema di maturazione delle scelte...»). Fin dall'inizio del mandato Tria ha costituito una spina nel fianco per certe posizioni machiste del «Salvimaio». Venendo dal mondo accademico e da un contesto di neokeynesianesimo moderato, che ne aveva fatto un consulente di Brunetta e Sacconi una decina d'anni or sono, indicato dal professor Savona come sua valida alternativa, Tria continua a esser trascinato sui carboni ardenti. Significativa perciò non appare tanto la sua presa di posizione sull'indipendenza di Bankitalia, quanto lo stupore manifestato nella precisazione: «Ho fatto un'affermazione prettamente istituzionale, ovvia e persino banale. Le mie parole non sono indirizzate contro nessuno». Motivazione che fa comprendere quanto il ministro si ritenga immerso in acque «torbide». Paradigmatica è la ricostruzione di uno degli scontri più accesi, avvenuto la notte di giovedì scorso a Palazzo Chigi, quando gli è stato comunicata l'intenzione dell'azzeramento. «Ma voi siete pazzi!...», è sbottato Tria. E quando Conte, in veste da paciere, ha cercato di riportare il sorriso («è il governo del cambiamento e per cambiare a volte si va per tentativi»), un'insperata sponda sarebbe giunta dal sottosegretario leghista Giorgetti: «Ah sì? E se scoppia la rivoluzione, che facciamo: andiamo avanti per tentativi?». La scena, riportata dal Corsera, non è stata smentita da Tria, che pure in passato aveva più volte sconfessato quel quotidiano quando aveva parlato di sue dimissioni. Proprio in una di queste occasioni, Tria pose un interessante paletto: «Non c'è mai stata una lettera di dimissioni, neppure nella mia testa... Un ministro dell'Economia non si dimette così, alla leggera, c'è un senso di responsabilità. È chiaro però che se in futuro il governo impazzisse...».
Una porta aperta sull'ipotesi «follia»: variabile che assume un suono singolare, oggi che il ministro si ritrova, incatenato dal Quirinale, in quella che sta diventando gabbia di matti. Responsabilità va bene, ma c'è un limite a tutto. Anzi, per dirla con Totò, ogni limite ha la sua pazienza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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