Raisi a bin Salman: "Baciamo le mani, Hamas ora resista". Nasrallah anti Usa

A Riad vertice di 57 Paesi islamici. Richiesta di sospendere la campagna militare di Tel Aviv. Erdogan duro, ma l'unità è soltanto di facciata

Raisi a bin Salman: "Baciamo le mani, Hamas ora resista". Nasrallah anti Usa
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Le delegazioni di 57 Paesi islamici un campo che va ben al di là del solo mondo arabo sono convenute ieri a Riad per il vertice congiunto straordinario dell'Organizzazione della cooperazione islamica e della Lega Araba, dedicato alla crisi di Gaza. Scopo della riunione era quello di mostrare al mondo l'unità del campo musulmano a sostegno dei palestinesi, da contrapporre a quello occidentale che appoggia il diritto di Israele di reagire con la forza all'aggressione senza precedenti subita da parte di Hamas lo scorso 7 ottobre. E tuttavia, se si presta attenzione alle dichiarazioni dei leader nella capitale saudita, si comprende che quell'unità è solo di facciata.

Perché un conto è esprimere la condanna di Israele per la violenza inflitta a Gaza e pretendere che la sua campagna militare venga subito fermata: quello lo hanno fatto tutti. Altro conto, invece, è incitare alla distruzione di Israele e schierarsi dalla parte di Hamas: questo lo hanno detto solo alcuni, così come solo alcuni hanno seguito a parole - l'invito del presidente iraniano Ebrahim Raisi ad armare la resistenza palestinese e a schierarsi contro gli Stati Uniti e l'Occidente «complici dei crimini israeliani». Nella dichiarazione finale, ci si limita a respingere la pretesa israeliana di star agendo a Gaza per autodifesa, si chiede all'Onu di adottare «una dichiarazione vincolante per fermare l'aggressione alla Striscia» e si sottolinea l'importanza di mantenere Gaza e Cisgiordania unite in un futuro Stato palestinese con Gerusalemme Est capitale: è la linea saudita.

Raisi insieme con il padrone di casa saudita Mohamed bin Salman e il presidente turco Erdogan, che pure ambisce a farsi guida dei musulmani contro Israele e ieri ha chiesto un'indagine Onu sul suo arsenale atomico è stato il più visibile protagonista del summit, e ci teneva molto a esserlo. Primo leader iraniano a metter piede in Arabia da sette anni, il suo arrivo a Riad è stato all'insegna della teatralità (è sceso dall'aereo con la kefia palestinese al collo) e della volontà di porre l'Iran alla guida di un fronte non soltanto islamico, ma addirittura globale (Teheran è stretta alleata di Russia e Cina), in bellicosa contrapposizione a Israele, ma anche al campo occidentale che sostiene «l'occupante sionista» e agli Stati Uniti che lo capeggiano. Incontrando il principe saudita, ha chiesto che l'esercito israeliano sia dichiarato «organizzazione terroristica», ha chiamato alla resistenza continua fino all'eliminazione di Israele e ha detto «baciamo le mani di Hamas», i cui metodi criminali evidentemente approva.

Bin Salman, del quale è nota la volontà (in queste settimane inespressa) di proseguire il processo di avvicinamento a Israele, è stato molto più cauto. Confermata la richiesta dell'immediato stop alle operazioni militari israeliane a Gaza, si è limitato a riproporre i noti punti del suo piano di pace: gli stessi approvati nella dichiarazione finale del vertice. Perfino nel campo dei «proxy» di Teheran sono comparsi dei distinguo.

Da Beirut lo sceicco Nasrallah, capo della milizia filoiraniana Hezbollah, ha assicurato che la sfida militare a Israele per ora di basso profilo proseguirà, ma ha ricordato che l'Iran non impone le proprie scelte ai gruppi che finanzia e ha di fatto offerto agli Usa lo scambio tra la fine dell'aggressione a Gaza e degli attacchi a obiettivi americani in Siria e Irak.

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