Ancora non c'è una decisione sullo scambio, il gabinetto di guerra in Israele si interroga su rischi e vantaggi: un patto con Hamas non è una stretta di mano fra gentiluomini, specie se garantito dal Qatar. Ma l'esasperazione è alle stelle. «Voi chiedete pazienza, dopo 42 giorni noi non ne abbiamo più! Viviamo in un incubo, avete la responsabilità del ritorno dei nostri cari. Decidete per una parte, per tutti, decidete qualcosa che ci riporti a casa i nostri cari!». È stata una delle esclamazioni furiose raccolte ieri dal ministro Miki Zoar in visita ai parenti degli ostaggi nelle mani di Hamas. Mentre il plotone 12 del battaglione Golani dentro Gaza occupava lo spiazzo da cui erano partiti il 7 ottobre i terroristi, sull'autostrada che porta da Tel Aviv a Gerusalemme si svolgeva un altro capitolo fondamentale, basilare, della guerra: quello per riavere a casa i 239 ostaggi.
Seimila persone stanno compiendo una marcia per rivedere nipotini, figli, coniugi e nonni prigionieri, l'importante è rompere il silenzio: dopo 42 giorni di agonia vogliono che qualcosa si muova. Ma su questo abilmente Hamas ha posto un'altra enorme carica esplosiva e ieri ha pubblicato un video dell'ostaggio Arye Zalmanovich (nella foto), 86 anni, rapito nel kibbutz di Nir Oz. Il video dell'uomo - che ha problemi medici e necessita di cure - solleva preoccupazioni sulla sua vita. La proposta negli ultimi due giorni si è stabilizzata su 50 ostaggi, donne e bambini, contro 150 prigionieri delle carceri israeliane, donne terroriste e cosiddetti bambini, in realtà giovani terroristi. Punto centrale dello scambio anche la tregua, che Hamas vuole 0di cinque giorni e per ora starebbe a tre giorni da parte israeliana. Inoltre un'altra richiesta vorrebbe che durante la riconsegna, non si sa in quante rate, e dove, e a chi, Israele rinunciasse a qualsiasi sorveglianza che scopra le postazioni di Hamas, i suoi nascondigli segreti. Ci sono molti dilemmi nella proposta di Hamas e Sinwar sa bene di stare semplicemente tentando di interrompere le operazioni militari che stanno distruggendo il suo potere. Per farlo chissà quante trappole ha messo sulla eventuale restituzione degli ostaggi, ma per Israele il recupero è una componente fondamentale della guerra. Non si sa quanto sia direttamente legato a questa situazione, ma ieri si è scelto di consegnare a Gaza 1.300 litri di gasolio. Il gabinetto è spaccato. È tutta energia che lungi dall'essere utilizzata per i cittadini, dato che ad Hamas della crisi umanitaria non importa niente, servirà per rimettere in sesto le galleria e altri strumenti strategici dell'organizzazione. Il governo sostiene che si tratta di una decisione che non danneggerà le operazioni di guerra, dovuta alla necessità di non danneggiare i cittadini innocenti, come da richieste internazionali. Il consigliere strategico di Netanyahu, Tzachi Hanegbi, dice che la guerra continua finché non siano eliminati tutti i responsabili dell'aggressione. L'ingresso della benzina è stata criticata anche da ministri della destra religiosa, può danneggiare il morale dei soldati che combattono in condizioni difficili.
Ma le famiglie sono disperate: insistono che un accordo ne porterà un altro. E una delle domande più drammatiche che lungo la strada sono state fatte a Zoar, è se le due rapite che sono state ritrovate morte, non siano state forse uccise da fuoco amico. Questo contraddirebbe quanto ha ripetuto anche ieri il governo: la guerra portata senza ledere i malati e i medici e agendo perché i cittadini sgomberino verso il Sud, aiuta a salvare i rapiti.
Anzi quanto più è decisa tanto più possiamo sperare nella loro salvezza. Tutti punti di dubbio, di rottura, di angoscia, in un Paese che più di tutto in questo momento ha bisogno di unità, e i cui ragazzi combattono ogni giorno.
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