«Non abbiamo parlato di Durigon», ha detto Matteo Salvini dopo il vertice col premier Draghi. Il nome del leghista finito nella bufera è stato fatto solo perché «lui è il papà di Quota 100 e sta curando la nostra proposta di riforma. Abbiamo parlato di pensioni». Eccolo l'altro fronte caldo che attende l'esecutivo a settembre. Uno dei capitoli più spinosi della prossima manovra d'autunno nonché della prima legge di bilancio firmata Mario Draghi. E settembre è anche la dead line temporale data dai sindacati che hanno minacciato una «mobilitazione generale» se non arriveranno risposte sulla riforma del sistema di previdenza e sulla loro piattaforma unitaria già presentata al ministero del Lavoro - flessibilità in uscita a partire da 62 anni, riconoscimento di 41 anni di contributi. Il confronto è ancora aperto. Ieri il leader leghista ha rimarcato le intenzioni del Carroccio: «Non permetteremo un ritorno alla legge Fornero. Io ho la testa al 31 dicembre quando scade Quota 100, e bisogna arrivare preparati con una riforma che tenga lontana la voglia di Fornero che qualcuno ha. Noi non lo permetteremo, questo è fuori discussione». Senza un intervento scatterebbe infatti il ritorno automatico a quel regime.
Uno scenario che vuole evitare anche il M5s, che però chiede una riforma «organica» e respinge soluzioni «tampone»: «Garantire una maggiore flessibilità in uscita per i lavoratori e istituire una pensione di garanzia per i giovani, che presentano carriere discontinue, sono obiettivi imprescindibili. Allo stesso tempo va estesa la platea dei lavoratori impegnati in attività gravose e usuranti», aveva chiarito il capogruppo alla Camera Davide Crippa. Il nodo è rappresentato dalle risorse.
Diverse le alternative allo studio per superare la Fornero. Lega, M5s e sindacati puntano su ipotesi come Quota 41 - come gli anni contribuzione a prescindere dall'età anagrafica - o sulla possibilità di uscire a 63-64 anni anche col solo regime contributivo. L'Inps ha già gelato le aspettative perché l'impatto sui conti pubblici con questa soluzione sarebbe da 4,3 miliardi nel 2022 e salirebbe fino a 9,2 miliardi negli anni successivi. Un'altra opzione sul tavolo è quella del calcolo contributivo con 64 anni di età e 36 di contributi. Costerebbe inizialmente 1,2 miliardi, per arrivare a 4,7 miliardi nel 2027. Il presidente dell'Inps Pasquale Tridico - nominato dal Conte 1 ai vertici dell'Istituto e vicino ai Cinque stelle - ha parlato anche di un'altra soluzione: uscire a 62-63 anni di età con la parte contributiva e a 67 con quella retributiva. Richiederebbe meno di 500 milioni nel 2022 per arrivare poi a costare 2,4 miliardi nel 2029. «La scadenza di Quota 100 non è la fine del mondo - ha detto -. La strada da seguire è quella di approfondire gli strumenti che già oggi permettono di lasciare il lavoro a 63 anni come l'Ape sociale». E dalle parti del ministero dell'Economia si ragiona su un più economico rafforzamento delle tutele previdenziali dei lavoratori di attività gravose e usuranti e su una proroga dell'Ape sociale. Si lavora a un ampliamento di queste categorie.
La Corte dei conti nell'ultimo rapporto sul coordinamento della finanza pubblica ha evidenziato la necessità di superare Quota 100 e pur non suggerendo una strada univoca ha citato l'opzione di un pensionamento anticipato a 64 anni con almeno 20 anni di versamenti anche per i sistemi misti. La sintesi però sarà ancora una volta nelle mani del premier.
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