Se fino a qualche giorno fa era la Lombardia la prima regione che cercavamo scorrendo il bollettino del ministero della Salute sui contagi da Coronavirus, ora il nostro occhio corre subito a qualche riga più imbasso, V come Veneto. Il territorio più colpito, con numeri notevolmente più alti rispetto al resto del Paese. Anche ieri è andata così: dei 16.999 casi contabilizzati in Italia, quasi un quarto arriva dalle sette province venete, ovvero 4.197, più del doppio del dato lombardo, pari a 2.093. E tutto questo a fronte di un numero di tamponi che in Veneto è inferiore a quelli messi a referto in Lombardia: 20.117 contro 24.229. Il che produce un dato inimmaginabile solo qualche settimana fa: l'indice di positività della regione governata da Luca Zaia è del 20,86 per cento, più del doppio della media nazionale (9,91, la più bassa dallo scorso 22 ottobre) e ancora più della Lombardia, che scende fino all'8,64 per cento. E anche per numero di decessi il Veneto, con 148 decessi, è secondo solo alla solita Lombardia, che ieri ne ha conteggiati 172.
Insomma, il Veneto è un caso. Al punto che qualcuno mette in discussione la permanenza nell'area gialla, quella di rischio più basso. Un'ipotesi ventilata anche dal virologo Andrea Crisanti, considerato l'artefice dell'efficiente strategia sanitaria che salvò il Veneto nella prima ondata di primavera: «Sicuramente le zone gialle non sono sufficienti a bloccare la trasmissione del virus. Il Veneto è un esempio, Sono settimane che la trasmissione aumenta e in questo momento è in testa». E il Coordinamento veneto per la Sanità pubblica (CoVeSaP) ha chiesto in una lettera al ministro della Salute Roberto Speranza «di rivalutare con urgenza l'attuale classificazione di rischio giallo» altrimenti «sotto Natale e Capodanno vedremo un picco di ricoveri e morti conseguenti agli attuali nuovi casi». Una prospettiva che non sembra convincere il governatore Luca Zaia che spiega così il record veneto: «Noi troviamo tanti positivi al coronavirus perché li andiamo a cercare. Arriviamo a 60mila tamponi al giorno, contro i 2750 di marzo, ma quelli rapidi non ci vengono conteggiati. Il confronto con le altre regioni è improponibile». Zaia ha ironizzato sulle ondate: «Ma le contate ancora le fasi? Prima fase, seconda, terza in arrivo... Il virus non ne se va prima della bella stagione, mettiamocelo in testa». E poi ha firmato un'ordinanza che entra in vigore alla mezzanotte che conferma alcune misure (un solo cliente alla volta per gli esercizi commerciali fino ai 40 mq di superficie di vendita e di uno ogni 20 metri quadri per quelli più grandi) e ne inasprisce altre: stop alle consumazioni in piedi nei bar dopo le 11 e fascia di rispetto per gli over 65 nei supermercati spostata dalle 10 alle 12 per limitare i disagi procurati dal maltempo.
Torniamo ai dati nazionali, che registrano 1.787.147 casi totali, e 696.527 attualmente positivi. Di essi 32.379 sono ricoverati, 29.088 in reparti ordinari (con una diminuzione di 594 unità) e 3.291 in terapia intensiva (-29). Questo ultimo dato merita un approfondimento: è il quindicesimo giorno consecutivo che il numero dei pazienti più gravi ha davanti il segno meno. In questo mezzo mese il dato è sceso dai 3.848 pazienti del 25 novembre (record della seconda ondata) ai 3.291 di ieri, con un calo complessivo di 557 unità, in andamento lento ma costante.
Alla fine il dato più preoccupante di ieri è quello relativo ai morti, con un balzo in avanti notevole rispetto a mercoledì: da 499 a 887, dato quest'ultimo che è il secondo più alto della seconda ondata dopo i 993 del 3 dicembre e il quarto più alto in assoluto.
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