In più di un'occasione ci siamo dovuti sorbire i panegirici del centrosinistra che pontificava, spalleggiato da una certa stampa, contro gli italiani popolo di razzisti. Anche il Censis, numeri alla mano, ieri ha tratteggiato lo stesso quadro a tinte fosche: xenofobia e risentimento in aumento, crimini d'odio più che raddoppiati nel giro di soli otto anni e, quel che è peggio, un conflitto permanente che sta assumendo sempre più i contorni dello scontro se non tra civiltà, perlomeno tra etnie.
Tra tutte le percentuali snocciolate nel 58° Rapporto sulla situazione sociale del Paese ce ne è una che ci può, però, aiutare a capire le fondamenta di quei muri invisibili che si stanno radicando nel nostro Paese: sei italiani su dieci sentono che il proprio stile di vita è minacciato dalla presenza degli immigrati. E questo non certo perché sono razzisti come vorrebbero farci credere i talebani dell'accoglienza, che al di là della continua richiesta di aprire i porti per tutti non sanno andare, ma perché una vera integrazione non c'è mai stata.
Ma partiamo da quello che scrive il Censis nel suo rapporto. «Le questioni identitarie si legge tendono a sostituire le istanze delle classi sociali tradizionali e assumono una centralità inedita nella dialettica socio-politica». Una dialettica che segue la logica dell'amico-nemico. Gli italiani la vivono sulla propria pelle quotidianamente. Tanto che il 40 per cento si sente minacciato dagli immigrati che entrano nel nostro Paese, mentre ben il 60 per cento da chi vuole radicare regole e abitudini che contrastano con «lo stile di vita italiano». È il caso, per esempio, del velo islamico integrale (come il burqa). O anche della separazione tra uomini e donne imposta all'interno degli spazi pubblici (come le piscine) per accontentare la comunità musulmana. Se, quindi, il 15 per cento circa vede il nemico in chi ha un diverso colore della pelle, il 22 per cento lo vede in chi professa una religione diversa.
Questi dati dovrebbero suggerire maggiore cautela a chi, tra i banchi della sinistra, vorrebbe forzare la mano e approvare lo ius soli. Perché regalare la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati non porterebbe automaticamente all'integrazione. «Mentre il dibattito politico si arrovella sui criteri normativi fa, infatti, notare il Censis in una parte della popolazione ha messo radici la convinzione che esista un'identità distintiva». Per il 38 per cento (dato che sale di quindici punti tra le persone con un titolo di studi basso) «l'italiano vero» discende da un «ceppo morfologicamente definito» che è «fonte originaria della identità nazionale». E questo, evidenzia il rapporto, nonostante (o forse perché) negli ultimi dieci anni 1,5 milioni di stranieri sono diventati italiani. Ma è proprio la mancata integrazione tra «vecchi» e «nuovi» italiani a generare sacche di violenza nel Paese. I numeri sono allarmanti. Nel 2015 i crimini d'odio erano poco più che 500, nel 2022 se ne contavano quasi 1.400. Di questi più di 1.100 erano di natura xenofoba. Un incremento di circa il 200 per cento rispetto a otto anni prima quando non arrivavano a 400.
Non c'è alcuna giustificazione alle discriminazioni. Ma, se sei italiani su dieci (la maggioranza del Paese, dunque, ben oltre l'elettorato del centrodestra) si sentono minacciati dagli immigrati e in particolar modo dagli islamici, significa che qualcosa non ha funzionato. Di sicuro le politiche buoniste della sinistra. Ma anche le sentenze pro accoglienza di una certa magistratura che ha spalancato le porte del Paese a decine di migliaia di clandestini.
Ancora ieri un giudice ha dato un indirizzo diverso a quello tracciato dalla politica annullando il sequestro di una delle navi dell'ong tedesca Sea-Eye. Peccato che siano proprio questi strappi, come anche certe ricette ideologiche di governi passati, ad allontanare la possibilità di un'integrazione e a far sentire gli italiani sempre più minacciati.
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