Renzi cambia compagni. È pronto a imbarcare Pisapia e la Boldrini

L'offerta di un posto in lista per coprire l'ala sinistra dopo l'addio di D'Alema e Bersani

Renzi cambia compagni. È pronto a imbarcare Pisapia e la Boldrini

E va bene che i verba volant. E va bene che nell'uccelliera del vecchio Lingotto lustrato di verde-foresta, il Picchio fiorentino ha svolazzato come voleva e battuto sull'albero che più gli piace, quello del «nulla lucente» (copyright Emiliano).

Ma ora che si sono spente le luci, che gli amici se ne vanno, quel che resta a terra sono solo straccetti e brandelli, briciole d'idea e qualche maschera vuota. Come alla fine di un martedì grasso. «Il clima del Lingotto non è quello del Paese», il mesto commento del governatore campano De Luca. Ma il Capo s'è ripreso l'Io caduto dal cielo, e tanto (gli) basta. Matteo Renzi dimostra ancora una volta, a chi l'avesse perduto o poco seguito, che del tonfo referendario, dei suoi riflessi politici, delle sue conseguenze a catena, non ha capito proprio nulla. L'uomo prosegue imperterrito a vagare per una stagione che non è più la sua. Prova ne sia l'imbuto delle alleanze nel quale il «nuovo» Pd renziano si sta cacciando in una «vocazione maggioritaria» che pare reperto bellico. Ancora più risibili sembrano le confidenze raccolte nello staff, che vagheggiano il ritorno a un appello al «voto utile» di veltroniana memoria, come arma segreta capace di superare nelle urne la concorrenza di sinistra (e di destra).

Accecato evidentemente dall'astio verso gli scissionisti, Renzi ha marcato nella manifestazione un'idea che il sanculotto Orfini, come sempre, manifestava nella sua accezione grottesca: «La sinistra è qui». Ci si riferiva alle vecchie glorie, ai cosiddetti «resuscitati comunisti», sfoggiati nella vecchia fabbrica come esempio di continuità con il passato e in realtà stanche figure residuali di un mondo in estinzione, talora convertito in extremis: da Luigi Berlinguer a Giuseppe Vacca, da Biagio De Giovanni a Claudia Mancina. Con tutto il rispetto, un po' pochino per reclamare la titolarità di un asse ereditario ben più pesante. Non essendo nessuno di costoro adatto alla pugna, Renzi si preparerebbe perciò a offrire un posto in lista a Giuliano Pisapia nonché alla presidente della Camera, Laura Boldrini, così da «chiudere», a modo suo, la frattura con il mondo che va da Bersani a D'Alema, da Di Pietro a Vendola. Con grande sopravvalutazione del Sé, e anche un po' di sprezzo del pericolo, Matteo vorrebbe separare il grano dal loglio, i comunisti buoni dai cattivi, fuori dal Pd. Riscopre la parola «compagni», ma definisce «macchietta» sia il pugno chiuso che la bandiera rossa. Con vizio da partito totalitario, stabilisce lecito ciò che gli conviene e che non gli è contro. In un quadro così autoreferenziale è chiaro il nyet ad alleanze «con chi ha boicottato il Pd», come ieri ribadiva Giachetti. E pure il rallentamento tattico all'alleanza con i centristi (giusto che l'ex ministro Lupi se ne lagni).

Il punto però non è quanto conteranno in percentuale gli «extra-Pd» da un lato o dall'altro. È che fare la faccia feroce, in un momento di debolezza, è un errore in sé e una condanna all'isolamento perenne.

Se Emiliano ribadisce una linea «ulivista» che neppure vuole «demonizzare i grillini», Renzi non se ne può uscire relegando il tema delle alleanze, con Berlusconi o altri, al «dopo le elezioni vedremo». Non è questo lo spirito del proporzionale con cui voteremo; l'impressione anzi è quella di uno che non sa dove va e con chi. Sogna il 41 per cento, cioè crede a una propria bugia. Un'autocondanna che viene dall'Io.

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