Renzi si arrende in Sicilia "Non è un test nazionale"

Il leader teme il ko sull’isola e mette le mani avanti Oggi l’annuncio dell’appoggio di Alfano a Micari

Renzi si arrende in Sicilia "Non è un test nazionale"

Si vive di ricordi. «Particolarmente bello vedere, dall’esterno, le immagini di come Taormina abbia accolto i leader del G7». Si fanno scoperte interessanti. «La ripresa c’è, purtroppo l’Italia è ancora divisa in due: un nord veloce e un Mezzogiorno lento. Ma in Sicilia ci sono tutte le condizioni per ripartire». Si mettono, soprattutto, le mani avanti. «Non permettete a nessuno di trattarvi come una cavia, la Sicilia non è una cavia.

In ballo non c’è lo stress test per le elezioni nazionali, non è un sondaggio per le Politiche». Questo è Matteo Renzi alla «prima» della campagna di Sicilia, che rischia di delineare i contorni di una rovina degna delle steppe di Russia o delle Piramidi d’Egitto. Ineffabile e infantile fino alla tenerezza, il segretario del Pd presenta a Taormina il candidato Fabrizio Micari con parole a doppio taglio che non si sa quanto abbiano fatto piacere al rettore palermitano. «Micari non è il candidato che ho scelto io o che è stato scelto da Roma...», ha tenuto a precisare Renzi, ricordando di averlo visto in vita sua una sola volta prima, il 22 ottobre scorso, all’inaugurazione dell’anno accademico. Bel viatico per quello che la bolsa retorica renziana poi vorrebbe definire come «uno straordinario segnale» per la Sicilia, una «novità».

Di conseguenza, l’in-bocca-al-lupo sembra quello di Ponzio Pilato: «Qui, oltre alla competenza di Micari, c’è una squadra che ha tutto per giocarsela. Adesso tocca a voi». Bene, grazie, auguri e figli maschi. Dov’è la porta che mi c’infilo, prima che mi riconoscano? Il Re del Nazareno aveva fretta di correre a presentare il suo libro a Catania, quello che il competitor Bersani dirà di non aver letto, «però l’ho visto su 11 giornali». Tanto è bastato per capire di che pasta sia. Ma bene fa Matteo a pensare alle copie, più che a una campagna elettorale che pare ormai persa in partenza, con il Pd a subire lo smacco del terzo posto, nonostante l’ossigeno che arriva dal fidato compare di queste lande, Angelinuzzu Alfano. Ad horas il capo di Ap dovrebbe ufficializzare la Strana Alleanza che tante scosse sta arrecando sia sul fronte sinistro - con Pisapia e D’Alema ormai ai ferri corti, tra accuse del presente e del passato -, sia sul versante destro, dove stanno preparando le valigie anche i tre senatori siciliani di Ap (Salvatore Torrisi, Bruno Mancuso e Pippo Pagano).

L’ala lombarda, capeggiata da Albertini e Formigoni, dissotterra invece l’ascia di guerra, stanca di attendere i ripensamenti di Lupi. «Domani, sabato 9 settembre - dichiara in tono solenne Formigoni -, l’onorevole Alfano annuncerà l’alleanza di Ap con il Pd per le elezioni siciliane. È un fatto grave, che cambia radicalmente la natura e la prospettiva del nostro partito. Ap rinuncia a essere alternativa e si prepara a partecipare alle elezioni alleata ai socialisti. A questo non possiamo starci, questa non è più l’Ap che abbiamo contribuito a creare». Le elezioni regionali, spiega l’ex governatore lombardo, «non sono mai una questione locale, come qualcuno tenta di sostenere».

Anche perché arrivano a pochi mesi di distanza dalle prossime Politiche e «ne prefigurano gli schieramenti», conclude Formigoni, dichiarando se e i suoi «allibiti» da una decisione che avrà ripercussioni nazionali (probabile

l’approdo nel Quadrifoglio berlusconiano organizzato da Parisi e Costa), mentre in terra di Trinacria sta già provocando un «vero terremoto». Così da far scoprire a Renzi che forse era meglio non ricorrerci, all’«aiutino» di casa

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