Il Pd si compatta e il patto del Nazareno si rompe: l'accelerazione impressa da Matteo Renzi sul nome di Sergio Mattarella segna una svolta politica le cui ripercussioni sulla legislatura e sulle riforme sono ancora da capire. Anche se, in casa renziana, la speranza di una ricucitura con il Cavaliere la nutrono in molti. «Ora - dice il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi - eleggiamo il capo dello Stato. Mattarella è una persona stimata da tutti e c'è un ottimo clima nel Pd, poi vedremo sulle riforme. Da qui a sabato c'è ancora tempo, tre giorni in politica sono tantissimi».
La prima votazione finisce come previsto nel nulla, con una massiccia quantità di schede bianche (538), alcuni candidati di bandiera che fanno più o meno il pieno dei loro voti e un po' di voti dispersi. Prodi ne totalizza solo 9, Bersani 5: a dimostrazione che nel Pd non è partita alcuna «operazione» anti-renziana. Sulla carta, il candidato di Renzi può contare su 585 voti, dal Pd a Sel a Sc agli ex M5S, un'ottantina di franchi tiratori farebbero saltare il banco. Anche se nel Pd c'è grande ottimismo: «Stavolta i “traditori” saranno ancor meno della soglia fisiologica normale”, assicura Gianclaudio Bressa. «Mattarella può arrivare a 600 – calcola un parlamentare esperto come Roberto Giachetti – un po' di voti grillini, centristi, anche Fi si aggiungeranno». L'accelerazione Renzi la ha decisa mercoledì, quando sul nome di Mattarella – dopo un incontro giudicato «interlocutorio» con Berlusconi – da Forza Italia non è arrivato alcun segnale di disgelo, che lui attendeva. E quando ha constatato che quel nome, nella sua lista ristretta da tempo, era il passepartout per tenere tutto il Pd e stoppare i giochi di interdizione che potevano partire al suo interno. A quel punto ha scelto di andare subito all'incasso, consapevole dei rischi ma anche dei vantaggi: «Berlusconi deve fare la faccia feroce, ora, ma mi ha detto non romperà davvero il patto del Nazareno: continueremo a lavorare insieme sulle riforme», assicurava ieri ai suoi. Quanto alla divisione con Alfano e l'Ncd, allineato con il Cavaliere, il premier fa spallucce: «Quelli vogliono restare al governo».
Ieri, davanti ai grandi elettori Pd riuniti, il premier è stato abilissimo nel presentare una candidatura «di tutti» e «in continuità» con le proposte avanzate da Pier Luigi Bersani nel 2013, e dunque capace di «cancellare lo smacco» di allora, sanando la ferita dei 101 (Prodi non lo ha mai neppure nominato, però). Ha rassicurato sul fatto di non aver scelto un proprio sodale, ma «uno in grado di dire dei no anche a chi lo ha indicato».
Poi ha lanciato un avvertimento secco a tutti coloro che, dentro il suo partito, potevano sperare di far entrare in gioco il proprio candidato in caso di debacle: «Dopo Mattarella non ci sono altri candidati del Pd: è lui quello su cui ci giochiamo il nostro credito, tutti insieme», e «se falliamo questo passaggio non sarà una normale sconfitta, è bene dirselo chiaramente: stavolta niente giochini». Quanto a Berlusconi, sappia che «non è un atto di arroganza del Pd», sono «tutte le altre forze politiche» ad aver attribuito al partito di maggioranza l'onere della proposta.
Mattarella sarà probabilmente eletto domani, e Renzi metterà la firma su un successo che lo rafforza a sinistra.
Consapevole però che la strada delle riforme rischia di farsi più impervia, e la strada della legislatura più breve: un'impasse sulla riforma del Senato, se Fi frenasse, comporterebbe contraccolpi anche all'Italicum, spiega un renziano: «Si finirebbe per votare l'anno prossimo, con il Consultellum al Senato. E col risultato di doverci rimettere d'accordo con Berlusconi dopo il voto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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