
Prima il gip, che nel 2023 - segnalando la necessità di approfondire una ventina di punti - aveva indicato che il reato da ipotizzare per il fascicolo sulla morte di Liliana Resinovich fosse quello di omicidio, non di suicidio. Poi le conclusioni delle perizia, secondo la quale la 63enne trovata morta tre anni fa a Triste sarebbe stata soffocata. Ora la svolta impressa dalla Procura: «II minuzioso lavoro svolto dai periti impone una profonda rivalutazione dell'intero procedimento». Si ricomincia, dunque, con nuovi accertamenti, acquisizioni, interrogatori. Anche se su questo il procuratore facente funzioni di Trieste, Federico Frezza, che ha assunto la titolarità del fascicolo perché il pm che se ne occupava non è più in servizio nel capoluogo friulano, non si sbilancia. Dice solo di aver già assegnato il procedimento ad un altro magistrato, che è già al lavoro sulla nuova pista che rivaluta elementi già presi in considerazione ma poi accantonati, come quello della presenza di lesioni sul corpo di Liliana che potevano far pensare al coinvolgimento di terzi. Aspetto questo finora non condiviso dalla Procura, che a suo tempo aveva parlato di morte da asfissia, sostenendo però che la donna se la fosse provocata da sola, suicidandosi, dopo aver infilato la testa in due sacchetti trasparenti fissati al collo da un cordino.
Anche se le parti sono ancora in attesa di leggere la perizia - svolta dal team guidato dall'antropologa forense Cristina Cattaneo e depositata in Procura nella notte tra venerdì e sabato - sarebbero state confermate le indiscrezioni, diffuse giorni fa dal quotidiano Il Piccolo, secondo le quali dagli accertamenti sarebbe emersa una lieve frattura alla lamina della seconda vertebra toracica. Una frattura che potrebbe risalire a poco prima del decesso e che dunque dovrà essere confrontata con l'insieme delle evidenze investigative che emergeranno.
La svolta impressa all'indagine dalla super perizia è stata accolta con favore dai familiari di Liliana, che non hanno mai creduto si fosse tolta la vita. La tesi del suicidio, sostenuta dalla Procura, tanto che dopo mesi di indagine aveva chiesto l'archiviazione del caso, ha da sempre suscitato forti dubbi e non ha convinto nemmeno il gip Luigi Dainotti. È stato lui a smontarla, disponendo approfondimenti che hanno dato nuova vita all'inchiesta. «Finalmente dopo tre anni ci troviamo nella giusta direzione. L'ipotesi del suicidio era grossolana e bizzarra e adesso è stata esclusa in radice», afferma Nicodemo Gentile, legale del fratello di Liliana. I familiari della vittima hanno sempre ritenuto che le lesioni riscontrate sul corpo non fossero di natura accidentale.
L'avvocato Gentile condivide la necessità della Procura di rivalutare il caso: «Perché questa indagine è deragliata, ma è importante che sia stata rimessa adesso sul giusto binario. Ci sono alcune persone mai sentite dagli inquirenti». Anche Sebastiano Visintin, marito della vittima, auspica che la Procura convochi «tutte le persone che hanno ruotato attorno alla vita di Liliana».
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