Non ci libereremo presto dall'ossessione dello spread, con cui abbiamo ormai lo stesso rapporto ansiogeno di chi si ausculta il cuore ogni cinque minuti temendo l'infarto. In maggio, quando il differenziale di rendimento tra Btp e Bund era attorno ai 120 punti, quasi ce n'eravamo dimenticati. Adesso che veleggia sopra quota 300, con puntate oltre i 340 punti come capitato ieri prima della chiusura a 315, ce lo portiamo addosso come un cilicio. A seconda degli ondeggiamenti del governo, fa più o meno male. Ma la soglia del dolore è già da tempo superata.
I mercati ci stanno da giorni dicendo che se il duo Salvini&Di Maio accoglierà i desiderata di Bruxelles sulla manovra, le cose si aggiusteranno. Difficile che vada così. E a giudicare dall'umore degli investitori internazionali, la fiducia verso l'Italia sembra davvero ridotta al lumicino. Le cifre diffuse ieri da Bankitalia fotografano infatti una diserzione di massa dai nostri titoli, soprattutto da quelli col bollino pubblico. Nei primi otto mesi i disinvestimenti sono stati nel complesso pari a 42,8 miliardi, di cui 24,9 miliardi di bond statali e 12,4 miliardi di obbligazioni bancarie. Tra maggio e giugno, in occasione dell'insediamento del nuovo governo gialloverde, il sell off di Btp era stato massiccio, pari a 58 miliardi. Poi, una schiarita in luglio (attivo di oltre 8 miliardi) subito cancellata - causa la forte volatilità dello spread - da una nuova fuga degli investitori esteri (vendite per 17,8 miliardi).
La mazzata finale potrebbe arrivare dalle agenzie di rating, che stanno praticamente già bussando alla nostra porta. Senza portare cioccolatini. Toccherà a Standard&Poor's, venerdì prossimo, dare il via alle danze. Per l'Italia si prospetta un casqué. Dai segnali che arrivano dalle sale operative, l'impressione è che S&P manterrà la tripla B sull'Italia, ma abbassando l'outlook da stabile a negativo. Ciò significa una possibile bocciatura alla prossima revisione. Quanto a Moody's, è probabile il taglio di una tacca (da Baa2 a Baa3), con il mantenimento delle prospettive negative. Nello stesso modo dovrebbe comportarsi Fitch, che ieri ha ricordato come un eventuale downgrade del nostro Paese avrebbe immediate ricadute anche sul rating di banche come Intesa SanPaolo, UniCredit, Credem, Mediobanca e Bnl. D'altra parte, Fitch mette in chiaro la stretta correlazione tra l'andamento dello spread e gli istituti di credito, su cui pende la minaccia di aumenti di capitale che potrebbero rendersi necessari a fronte della svalutazione dei titoli di Stato che hanno in pancia.
Ma lo scenario più avverso, vale a dire un declassamento di due gradini che farebbe scivolare il rating sovrano dell'Italia a livello junk (spazzatura), avrebbe conseguenze ancora più drammatiche in termini di esodo di capitali stranieri dai nostri titoli di Stato.
Goldman Sachs ha stimato un fuori-tutti da 100 miliardi, facendo il calcolo sui fondi che sarebbero di fatto costretti, in base al regolamento interno che contempla nel portafoglio solo attività investment grade (quelle di maggiore affidabilità), a vendere carta tricolore in caso di doppio downgrade. Inoltre, sempre agli stessi soggetti sarebbe impedito l'acquisto delle nuove emissioni del Tesoro. Un disastro.
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