Ora i referendum. Poi la Costituente per mettere mano a una vera riforma della giustizia. Marcello Pera, ex presidente del Senato, non si scompone davanti al testo benedetto da Marta Cartabia: «Non scomoderei la storia».
D'accordo, ma si tratta pur sempre di un passo in avanti?
«Si tratta di una di quelle cosiddette riforme lo vuole l'Europa, genere vorrei ma non posso. Una riforma vera può venire solo da una revisione della Costituzione. È l'ordinamento giudiziario che va ripensato perché è da lì che è nata la magistratura come contropotere della politica e il magistrato come soggetto militante».
Finora si era fatto poco o nulla.
«Il compromesso Cartabia a qualcosa serve, un po' di efficienza la introduce, ma siamo lontani da ciò che occorre. E naturalmente c'è il rischio che, battezzata la Cartabia, ci si fermi».
Il governo rivendica le novità: lo stop alle porte girevoli, il voto degli avvocati nei consigli giudiziari, il fascicolo delle performance. Ancora, la stretta sui fuori ruolo. Le pare così poco?
«Le porte girevoli interessano ormai pochi casi, perché i magistrati non girano quasi più. Il voto degli avvocati è solo un contentino dato a una corporazione, in pratica sarà come l'acqua triacale che non fa bene e non fa male».
Possibile che sia tutto fumo?
«Un attimo. Il fascicolo è una novità buona, ma dipende da come sarà gestito e quale peso avrà nelle valutazioni. Sui fuori ruolo c'è una sforbiciata apprezzabile».
E la separazione delle funzioni?
«Non ci siamo perché si perpetua l'equivoco: restano tutti magistrati allo stesso titolo. Ciò che deve essere separato sono i ruoli, lo status, che sono due e diversi: quello dei giudici, con tutte le garanzie di indipendenza e terzietà, e quello degli accusatori che sono funzionari rappresentanti dello Stato, che esercitano in nome dello Stato, con le indicazioni ricevute dallo Stato. Prima che giudiziario, l'accusatore è un soggetto di politica giudiziaria. La mia idea è che i procuratori siano proposti dal governo e nominati dal parlamento con maggioranza qualificata».
Insomma, lei vuole riscrivere la Costituzione?
«Si, occorre cambiarla. E si rifletta sul fatto che un ordinamento dei procuratori come il nostro in Europa non ce l'ha nessuno e non ce lo invidia nessuno».
Il sorteggio al Csm non è passato. Un'occasione persa?
«Il problema è il Csm, non il sistema di voto. La Costituzione assegna al Csm compiti precisi, ma il Consiglio oggi fa anche altro: invia pareri non richiesti al Parlamento, e poi proposte, studi, pratiche cosiddette a tutela, cioè sindacali. Vuol dire che la legge istitutiva del Csm è fuori dalla Costituzione. E infatti fu una transazione obliqua: la politica concedeva potere alla magistratura, la magistratura ricambiava con qualche favore alla politica. Ecco snaturato l'istituto. Poi vennero le correnti e nacquero le corporazioni. Infine arrivarono i magistrati militanti e si sviluppò il contropotere».
Una spallata al sistema la daranno i referendum?
«Sui referendum sono scettico perché sono uno strumento grossolano. È vero che se avessero successo, segnalerebbero un problema al Parlamento e ai partiti. Giusto perciò andare alle urne in massa».
Un giorno solo?
«No, naturalmente il voto va spalmato su due giorni. Ma paradossalmente i referendum potrebbero impedire le riforme.
Ad esempio se c'è scritto che si separano le funzioni con qualche cavillo, poi sarà difficile fare di meglio. In definitiva non vedo altra soluzione che la riforma costituzionale. Un nuovo battesimo per le nostre istituzioni».
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