Sono messaggi da non sottovalutare quelli inviati ieri da Confindustria tramite il vicepresidente Emanuele Orsini. Nella sua audizione alle commissioni Finanze di Camera e Senato sulla riforma dell'Irpef, la confederazione delle imprese ha chiesto di rivedere la progressività dell'imposta. Perché così come è ora è «un Frankenstein» che penalizza il lavoro. Con un euro di reddito in più un lavoratore dipendente «finisce col trovarsi in tasca pochi centesimi o, al limite, col peggiorare la propria situazione complessiva, perdendo bonus e detrazioni».
Considerazioni tecniche, preparate per la riforma del fisco che era stata promessa dal precedente governo, poi finita nel binario lento della legge ordinaria, ma che accendono un faro su uno dei punti programmatici toccati dal presidente del consiglio incaricato Mario Draghi. Il fisco più progressivo al quale ha fatto accenno durante gli incontri con i partiti politici. Un punto sul quale spingono i sindacati (in particolare la Cgil di Maurizio Landini) e la sinistra.
Abbandonata la trincea della patrimoniale (indigeribile, visto che, come ha sottolineato Confindustria, in Italia ce ne sono già 17 che al limite potrebbero essere riorganizzate) resta la parola d'ordine di una riforma che redistribuisca. Quanto sia complicato il capitolo tasse lo hanno capito deputati e senatori quando ieri si sono visti recapitare il dossier di viale dell'Astronomia.
Sopra i 28 mila euro di reddito, l'aliquota marginale, cioè applicata all'ultima fascia di reddito per un lavoratore è «di oltre il 31% (quella legale è del 27%). Tra i 35 mila ed i 45 mila euro il prelievo effettivo arriva al 61% (a fronte di un'aliquota legale del 38%)».
La proposta di Confindustria è di «introdurre meccanismi di imposta negativa» e «la detassazione del primi risultati e del welfare aziendale». Misure per «alleggerire la pressione sui redditi medi», con costi contenuti, circa tre miliardi. Poi Irap abolita, estensione del superbonus 110%.
Confindustria si dice d'accordo con un intervento sui regimi fiscali sostitutivi che «vanno valutati uno ad uno e quelli che intendiamo mantenere vanno almeno coordinati col regime normale». Concretamente, si tratta del regime dei minimi, del forfettario per le partite Iva e della cedolare secca sugli affitti. Punto che potrebbe fare capolino nel programma di Draghi, ma che è difficile da gestire, come la patrimoniale. La Lega Nord non sarebbe d'accordo.
Le professioni - le cui associazioni non sono state sentite da Draghi, come ha sottolineato il presidente di Confassociazioni Angelo Deiana - farebbero barricate.Ci sono insomma le condizioni per lasciare la riforma fiscale dove è oggi: in un limbo parlamentare dai tempi lunghi. Difficile che su questi temi si trovi un minimo comun denominatore, anche per Draghi.
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