L'esame alla Camera della legge per la riduzione dei parlamentari, il cosiddetto ddl taglia-poltrone, è al tempo stesso un punto di arrivo e di partenza. Di arrivo per il Movimento 5 Stelle, che sul suo blog parla di "un grande giorno per un miliardo di motivi", ovvero il miliardo di euro che si risparmierà in due legislature con il passaggio da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. E di partenza per tutto il governo, in particolare per la sua propaggine di sinistra. Infatti, tra le forze della maggioranza si profila un vero e proprio do ut des, foriero di un patto che, come scrive l'Huffington Post, porterà nel giro di pochi mesi al varo di un'importante serie di riforme costituzionali.
La prima, come detto, è la riduzione dei parlamentari. Proposta contro cui, fino a febbraio, il Pd invocava la "resistenza civile". Un boccone duro da digerire, compensato però dal balsamo di alcune, imminenti misure. La prima, attesa per ottobre, è l'omogeneizzazione degli elettorati attivi e passivi di Camera e Senato. Oggi, per scegliere i propri rappresentati a Palazzo Madama, bisogna avere compiuto 25 anni. Da domani ne basteranno 18. Al momento il testo è custodito nei cassetti della commissione Affari costituzionali del Senato. Pronto ad arrivare in Aula nelle prossime settimane.
Il secondo ddl costituzionale previsto dalla tabella di marcia giallo-rossa riguarda la diminuzione di un terzo dei delegati regionali per l'elezione del presidente della Repubblica. Al momento, la Carta prevede che all'elezione partecipino tre delegati per ogni Regione, tranne la Valle d'Aosta (uno solo). Con la riduzione dei parlamentari da 945 a 600, si rende necessario fare altrettanto con i rappresentanti degli enti locali. Terzo punto, l'elezione dei senatori su base regionale. Una norma, prevista dai padri costituenti, che è stata al centro di una disputa durata decenni. Il governo Conte vuole risolverla una volta per tutte facendo eleggere gli onorevoli di Palazzo Madama non più su base regionale, ma pluriregionale, favorendo così la rappresentatività a scapito della governabilità. È proprio questo il busillis su cui 5 Stelle e sinistra, specialmente Italia Viva e Leu, hanno discusso di più.
Un dibattito che rischia di trasformarsi in uno scontro durissimo sul quarto e ultimo punto del patto stretto tra le forze della maggioranza: la legge elettorale. La norma attualmente in vigore, il Rosatellum, è stata pensata e voluta per il "vecchio" sistema.
Riequilibrare: è la parola magica sussurrata da Matteo Renzi. L'ex premier vuole un sistema di voto diverso, che dia maggiori garanzie ai partiti più piccoli, compreso il suo. Il Pd, dal canto suo, non ha ancora deciso se schierarsi dalla parte del maggioritario o del proporzionale. Ma c'è tempo. Se ne discuterà solo a dicembre, quando si saprà se qualcun avrà chiesto il referendum sul ddl di riduzione dei parlamentari. A quel punto via libera al dibattito.
Una cosa è certa: la nuova legge elettorale garantirà "più efficacemente il pluralismo politico e territoriale, la parità di genere e il rigoroso rispetto dei principi della Corte costituzionale in materia elettorale e di tutela delle minoranze linguistiche". Parole che fanno pensare a un possibile rafforzamento del proporzionale. Per la felicità di Renzi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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