C'è un depistaggio dietro alla tragedia dell'hotel di Rigopiano, di Farindola, in Abruzzo, travolto il 18 gennaio del 2017 da una valanga che provocò 29 morti. Ma nessun mistero da svelare, assicura il procuratore Giuseppe Bellelli nella requisitoria andata avanti per due giorni che si è conclusa ieri con richieste di condanne per oltre 150 anni. Solo «l'inefficienza grave della Prefettura» di Pescara, che tardò a coordinare i soccorsi aprendo sale operative solo sulla carta per attribuirsi capacità di intervento nell'emergenza in realtà mai avute e che hanno invece dimostrato il «fallimento di un intero sistema».
«Omissioni sistemiche» che hanno trasformato in una trappola il resort, con 40 persone dentro, sommerso da una massa di 120 tonnellate di neve che si staccò dal Gran Sasso dopo la massiccia ondata di nevicate che in quei giorni si abbatterono su gran parte dell'Italia. Una strage le cui immagini impressionanti sono state proiettate in aula. «La vicenda è il frutto di gravi omissioni, da parte di Comune, Provincia, Regione e Prefettura, e responsabilità da parte di una classe dirigente protagonista di malgoverno e impegnata a soddisfare interessi clientelari invece che quelli dei cittadini», ha stigmatizzato il pm Anna Benigni. «L'infedeltà dei servitori dello Stato che depistano e sviano, purtroppo, fa parte della triste ed endemica storia di questo Paese», ha detto il procuratore capo ripercorrendo la vicenda del depistaggio che vede imputati tra gli altri l'ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, per il quale è stata sollecitata la pena più alta: 12 anni. «Non c'è un anarchico che cade dal balcone della questura, non ci sono tracce scomparse dal cielo di Ustica, non c'è un'agenda rossa trafugata. Parliamo di un prefetto di provincia che lascia cadere nel vuoto una richiesta di aiuto», è uno dei passaggi più significativi della requisitoria. Con Provolo rischiano condanne severe altri rappresentanti delle istituzioni e numerosi funzionari. Anche il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, per il quale sono stati chiesti 11 anni e 4 mesi.
Bellelli ha parlato della telefonata tenuta «nascosta» di Gabriele D'Angelo, il cameriere dell'hotel morto dopo aver provato in ogni modo a scongiurare la tragedia e del tentativo di far credere che la sala operativa fosse stata istituita dal 16 gennaio. Depistaggi, appunto, «condotte con cui alcuni esponenti dello Stato hanno tentato di fuggire dalle proprie responsabilità». Il procuratore ha poi stigmatizzato il fatto che in 25 anni non si è riusciti a realizzare una Carta valanghe e che dal 2005 non si è più riunita la commissione valanghe del Comune di Farindola. «Evidentemente la politica valuta altre priorità», ha detto. Durante le indagini sono state rintracciate due note prefettizie che, in seguito all'allerta meteo, documentavano falsamente l'istituzione fin dal 16 gennaio della sala operativa provinciale di Protezione civile e del Centro coordinamento soccorsi, mentre l'effettivo insediamento si verificherà solo la mattina del 18 gennaio. Troppo tardi per salvare gli ospiti dell'hotel. «Oggi riassaporiamo la giustizia, sperando che il giudice confermi le richieste», ha commentato Gianluca Tanda, portavoce dei familiari delle vittime.
Soddisfatta del lavoro della Procura, Mariangela Di Giorgio, mamma di Ilaria Di Biase, una delle giovani vittime, «anche se nessuno ci può ridare nostra figlia, il suo sorriso e i suoi progetti». L'avvocato Nicola Pisani, legale di parte civile per la Regione Abruzzo, ha definito le richieste «significative», ma non per questo «fondate».
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