Rientrare in partita, prendere il toro per le corna. Giuseppe Conte, premier per volontà contrattuale, sulla strada del ritorno dall'Oriente non scivola sulla seta. Gli alleati belligeranti sono ormai ben oltre la tregua: si lanciano sguardi di rinnovato languore, al punto che il sottosegretario leghista alla Presidenza, Giancarlo Giorgetti, osserva come «si stiano verificando le condizioni perché questo governo duri, si stanno incontrando e finalmente si stanno parlando». Il tutto riesce meglio in assenza di Conte, e proprio in risposta all'ultimatum del premier. Segnalazione d'irrilevanza peggiore non poteva esserci. Come ieri dimostrava ulteriormente il «caso Tria».
Eppure - questa la riflessione che lo staff gli consegna, rafforzato dal sostegno del Quirinale- è al premier che toccherà distribuire le carte, far marciare e non marcire la squadra, difendere Tria e proporre i nomi del nuovo ministro degli Affari europei al Colle. Nonostante Salvini gli abbia già comunicato che «ha pronto un nome» e, implicitamente, che questa poltrona tocchi alla Lega. Considerato anche che il Carroccio ha già perduto due sottosegretari, Siri e Rixi, caduti nel bel mezzo della battaglia per le Europee per arma giudiziaria e fuoco amico grillino. Il primo nome a uscire domani, durante il primo dei vertici chiesti da Conte, potrebbe essere quello dell'attuale ministro della Famiglia, Attilio Fontana. Così raggiungendo due traguardi insperati: compensare con la Famiglia i 5s (magari per le dimissioni che continua a minacciare, invano, la Grillo dalla Salute) e salvaguardare il Fontana di stretta osservanza salviniana. Dal punto di vista di Conte si tratterebbe di fare buon viso a cattivo gioco, e il premier perciò ha anticipato al bravo Stefano Feltri del Fatto che «mi fa molto piacere che Salvini e Di Maio abbiano ricominciato a parlarsi, con toni diversi da quelli della campagna elettorale, ma ora dovremo sederci a un tavolo tutti e tre e concordare una piattaforma chiara per proseguire, se non basterà una riunione ne faremo una seconda e poi una terza», per concordare come andare avanti. Conte premette di cercare «il più ampio coinvolgimento politico, concorderemo una linea con i vicepresidenti in modo che il mio sia un mandato pieno al più alto livello». Reclama il potere che gli hanno appena sfilato, e comincia a piazzare dei paletti, il primo sui minibond già bocciati da Draghi e Tria. A proposito di Ue, il premier ha poi dovuto subito stoppare il tentativo di tedeschi e francesi di lanciare l'ex premier Enrico Letta alla presidenza del Consiglio europeo. E comprensibilmente cercherà pure di non sbilanciare troppo la squadra di governo, ora che i leghisti sono in maggioranza nel Paese ma ancora minoritari in Parlamento. Una «quadra» che potrebbe non consentire sopravvivenza a Toninelli ai Trasporti e, forse, a Costa all'Ambiente.
Rimasto unico vero oppositore allo strapotere salviniano, assieme all'ala più ortodossa dei grillini (Fico), Conte dovrà cercare di ridurre l'isolamento italiano in ambito europeo dove, perdurando il conflitto con la Commissione sul fronte dei conti pubblici, il governo non ha espresso ancora nessuna posizione.
Al summit di fine maggio, lui è stato l'unico leader dei grandi Paesi (oltre alla May, premier britannico in uscita) a non aver avuto nessun incontro bilaterale con i partner. Rimettere in moto la macchina di governo però toccherà a lui. Anche se a guidare sarà un altro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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