Se un domani Fratelli d'Italia dovesse decidere di togliere la Fiamma dal suo simbolo di partito, come sembra auspicare, sia pure con molta prudenza e molti distinguo, il suo parlamentare, nonché ministro, Luca Ciriani, e la sostituisse, che so, con un pennello da barba, ci sarebbe sempre chi accuserebbe Giorgia Meloni e i suoi «colonnelli», Ciriani compreso, di voler radere l'Italia in nome del fascismo e chiedere comunque l'epurazione nonché l'abiura di ogni pelo di quel pennello e di tutti i suoi barbieri
È stupefacente la capacità che ha Fratelli d'Italia di farsi del male da sola, in una logica esternatoria in stile «dico quello che penso» senza mai pensare a quello che dice. Il risultato prevedibile di quanto l'onorevole Ciriani ha confidato al suo intervistatore del Foglio vedrà il solito, distorto battage mediatico il cui succo sarà: «Vedete, si vergognano persino loro. Avevamo ragione noi. I conti con l'humus del fascismo devono ancora essere fatti!». Se ne sentiva il bisogno di un simile dibattito? Francamente no ed è, mi si scusi la franchezza, come darsi del coglione da soli.
Elettoralmente, la questione del simbolo non ha alcun peso. Siamo ormai alla «terza età della fiamma», per riprendere il titolo di un bel saggio di Marco Tarchi sul tema, e l'ultima età, da un punto di vita politico-ideologico, ha ormai poco o niente a che fare con le due che l'hanno preceduta. Quella fiamma però racconta, rappresenta e rimanda a un pezzo non piccolo di storia italiana o, se si vuole, di controstoria italiana.
Che senso ha spegnerla? Secondo Ciriani, che è del 1967, a un giovane d'oggi quel simbolo non vuole dire nulla, il che, per essere detto dall'esponente di un partito che si dichiara di destra e conservatore, suona un po' surreale. Che cosa vuol mettere al suo posto? Il logo di TikTok? Un fumetto manga?
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